Propaganda e identità nella Guerra Civile in Lunigiana

Jacopo Bernardini – Università di Pisa

DOI 10.53258/ISSN.2785-261X/OI/04/1238

Introduzione

La Lunigiana, composta dalla media e alta valle del fiume Magra, rappresenta un microcosmo amministrativamente diviso tra la provincia ligure della Spezia e quella toscana di Massa-Carrara. Separata dai capoluoghi toscani, Massa e Carrara, dal massiccio naturale delle Alpi Apuane, la regione ha sempre beneficiato della vicinanza e della facile accessibilità a Sarzana e La Spezia, facilitando comunicazioni agevoli e intensi rapporti umani e commerciali.

Queste sue caratteristiche, in un momento di eccezionale emergenza come quello verificatosi con l’armistizio, hanno prodotto una particolarissima situazione. La rete stradale della Lunigiana apuana, comprendente arterie come le strade statali del Passo della Cisa e del Passo del Cerreto, è di fondamentale importanza dal punto di vista strategico. Queste strade collegano importanti centri urbani come Aulla, Sarzana, La Spezia e Carrara, costituendo vie cruciali per i rifornimenti alle divisioni tedesche e del nascente fascismo repubblicano.

Inizialmente lontano dai centri abitati, sulle sue montagne, la regione vede i primi interventi degli uomini della Resistenza, consapevoli di quanto sia fondamentale, per colpire il nemico, agire sulla rete delle comunicazioni di valico e di fondovalle attraverso le quali affluiscono uomini e mezzi. Il dualismo tra aree costiere e fondovalle, maggiormente controllati da fascisti e tedeschi, e le vette delle Alpi Apuane, rifugio del «popolo alla macchia»[1], stava per generare tensioni e fermenti all’interno delle comunità locali, lasciando segni destinati a perdurare anche dopo la fine del conflitto.

È importante sottolineare come questa peculiare conformazione della Lunigiana, questo suo dualismo, per la sua gente, non ha mai rappresentato un muro netto di divisione. Al contrario, per secoli i crinali e lo spartiacque geografico non sono stati considerati barriere, ma hanno invece svolto un ruolo di collegamento e unione tra i diversi versanti.[2] Nel marzo del 1945, di fronte a una nuova minaccia di rappresaglia contro la popolazione civile, il comandante del Gruppo Patrioti Apuani e futuro prefetto della liberazione, Pietro del Giudice, esprime in una lettera il senso e le ragioni di questa profonda connessione:

A noi, che abbiamo abbandonato le nostre case per condurre una vita da lupi sulle brulle montagne apuane, non fa nessuna differenza se muore un italiano in più o in meno. Teniamo solo alla nostra dignità e odiamo qualsiasi straniero che calpesti il suolo sacro della patria. Sappiamo che la nostra guerra di liberazione non finirà né oggi né domani. Oggi ci accontentiamo di dominare incontrastati quattro palmi di roccia, su cui non sventola e non sventolerà mai altro che il tricolore, senza stemmi e senza macchie.[3]

In questa terra, di fronte ai pericoli, alla fame, allo sfaldarsi dei poteri costituiti, nasce nella popolazione la volontà di ricostruire: dalla necessità di provvedere da soli ai bisogni elementari della comunità si impara a ricercare compromessi, dai quali si creano i dirigenti politici e gli amministratori della liberazione; nel momento più drammatico e difficile del secondo conflitto mondiale si comincia a pensare e a lavorare concretamente per il futuro. Tuttavia, nasce un confronto riguardo il tipo di futuro immaginato: il primo è quello della Repubblica Sociale Italiana (Rsi), che non può presentarsi agli italiani senza cercare di proporre – seppur nei limitati margini di manovra che le sono concessi dall’«alleato occupante»[4] tedesco – un proprio progetto politico significativo.[5] Il secondo futuro è quello sempre più sicuro di sé, legittimato da un crescente appoggio popolare e dalle armi dei partigiani, che rompe nettamente con il recente passato. Per una parte della popolazione, tuttavia, schierarsi apertamente con l’una o con l’altra fazione non è cosa inevitabile. Avere legami di amicizia o di parentela tra le montagne poteva permettere di imboccare una terza via, quella del rimanere nell’ombra, della quotidianità dei luoghi delle comunità di appartenenza.[6] In questa «zona grigia» il ruolo di mediazione e sostegno della struttura amministrativa diventa presto cruciale.[7]

Le difficoltà nelle comunicazioni, nei trasporti e nella movimentazione di merci e persone indeboliscono il controllo sul territorio. Per questo, la propaganda diventa essenziale. La Rsi la utilizza per legittimarsi e consolidare il proprio potere in un’area strategica, sfruttando le emergenze del conflitto per dimostrare la sua capacità di governare e rispondere ai bisogni della popolazione.[8] Anche i movimenti antifascisti, seppur frammentati e privi di un coordinamento unificato,[9] ricorrono alla propaganda per rafforzare il morale e mobilitare la popolazione. L’obiettivo per tutti è consolidare la propria presa ideologica su un territorio estremamente frammentato e fortemente diffidente verso ogni tentativo di nazionalizzazione, dove la famiglia e la comunità paesana rappresentano istituzioni ben più concrete e palpabili rispetto ad uno Stato nazionale che, specie durante il fascismo, era orientato verso una modernità che snaturava queste popolazioni.[10]

Questo contributo fa parte di un progetto di ricerca più ampio sul ruolo dell’amministrazione periferica della Rsi in Lunigiana, di cui la propaganda rappresenta solo un aspetto. Adottando un approccio locale, in linea con le più recenti tendenze storiografiche,[11] la ricerca vuole mettere in luce le differenze sorte nel rapporto con le istituzioni e le problematiche quotidiane nell’interazione con l’ambiente circostante. Lo studio di un’area specifica non frammenta una grande vicenda in piccoli contesti, ma evidenzia problemi locali che si collegano a dinamiche più ampie. Sebbene non esaustivo, questo lavoro si propone come punto di partenza per una migliore comprensione della guerra civile.

La sfida propagandistica

Il versante lunigianese delle Alpi Apuane, vicino alle principali arterie stradali e ferroviarie del fondovalle e facilmente raggiungibile attraverso le strade comunali di arroccamento e collegamento, non sembra offrire sufficienti garanzie per insediamenti permanenti né ai partigiani né ai fascisti repubblicani, poiché esposto a facili attacchi improvvisi. La densità degli abitati, quasi tutti collegati da strade o raggiungibili con brevi marce, costituisce un importante fattore per gli approvvigionamenti e i rapporti con le popolazioni locali, ma espone queste ultime a probabili rappresaglie e ad azioni di guerriglia.[12] Tutti questi elementi e fattori impediscono innanzitutto la nascita di un movimento antifascista unitario nella Lunigiana apuana, dotato di un proprio Cln comprensoriale o di vallata e di un’unità operativa di zona.[13] Allo stesso modo, rendono ancora più difficile il già complesso operato politico e amministrativo della Rsi.[14] Parte della partita si deve quindi giocare su un altro piano, quello propagandistico.

La nuova repubblica di Mussolini, cercando di combinare un «patriottismo assoluto» con il lealismo mussoliniano,[15] tenta di orientare l’opinione pubblica attraverso la propaganda, scontrandosi però con una stampa che non risponde con sufficiente convinzione alle direttive del Ministero della Cultura Popolare. Mussolini è profondamente insoddisfatto del funzionamento dei giornali, delle notizie che pubblicano e della scarsa attenzione e del poco entusiasmo con cui, in molti casi, stanno seguendo i primi passi della Rsi.[16]Secondo lui, persistono ancora i germi di quello che definisce il «badoglismo»;[17] alcune notizie sono puramente scandalistiche e distolgono l’attenzione dai grandi temi che il fascismo repubblicano, con la sua svolta sociale, cerca di promuovere.[18] Gli articoli, nonostante le numerose sollecitazioni, non vengono firmati, il che può essere interpretato come un sintomo di paura.[19] Eppure, le direttive sui temi da trattare sono state molto precise sin dai primi giorni: screditare gli avversari, promuovere l’impegno militare, ricostruire il fascismo sul binomio «Repubblica» e «Socializzazione» e rilanciare le forze armate.[20]

La mancanza di incisività della stampa è sintomo di un armistizio che stava veramente scuotendo il Paese; di fronte alla «morte della Patria»[21] e alla conseguente «morte dello Stato» sentimenti contrapposti si fronteggiano nel vuoto istituzionale creatosi. Con il nuovo corso de Il Telegrafo – giornale livornese già ben radicatosi nel territorio apuano sotto la direzione di Giovanni Ansaldo –[22] la carica emotiva prende il sopravvento. L’8 settembre viene visto dal nuovo direttore Giovanni Engely come «una triste necessità»: si ricorda a tutti i lettori che l’Italia ha perso la guerra e siamo «noi, dunque […] i vinti». Nonostante ciò, invita il suo pubblico a non fossilizzarsi sul conflitto appena perduto ma a concentrare lo sforzo verso il ripristino morale e materiale del Paese, evitando le «teoriche impazienze di una rapida ricostruzione totale».[23]  Le prime bande di «ribelli» lunigianesi nascono proprio con lo spirito di fornire una «iniziale supplenza all’eclisse delle istituzioni» che mirava ad «un’immediata ricostruzione».[24] Il loro slancio, tuttavia, si scontra irrimediabilmente con una nuova fase del conflitto.

La tenuta dell’Italia, e della provincia di Apuania in particolare, assume sin dall’estate del 1943 una rilevanza militare e propagandistica cruciale per il Terzo Reich. Per comprendere meglio ciò è necessario fare un passo in avanti, nel settembre del 1944. Qui troviamo le truppe tedesche raggiungere, dopo una lunga e sanguinosa ritirata, la Linea Verde, conosciuta anche come Linea Gotica. Per molti soldati sembra più vantaggioso fermarsi sulle Alpi, con posizioni difensive più favorevoli. L’idea che serpeggia tra le truppe è che ormai si combatta solo per una questione di prestigio.[25] Non era così per i Nationalsozialistische Führungsoffiziere, gli ufficiali incaricati dell’indottrinamento dei soldati. Difendere la pianura padana, una delle aree più fertili d’Europa e dove l’industria bellica era ancora pienamente operativa, è una necessità strategica.[26]  Da non dimenticare, inoltre, le implicazioni propagandistiche che la perdita dell’intera Italia avrebbe avuto per l’Asse.[27] Il crollo dell’alleato italiano il 25 luglio 1943 e la parentesi Badoglio aveva già fatto sorgere tra i tedeschi seri dubbi sulla validità della causa.[28] L’interesse di Hitler per il recupero del suo vecchio alleato deve essere interpretato anche in quest’ottica.[29]

Appare chiara quindi l’importanza della tenuta della provincia di Apuania[30] già dall’estate del 1943, piano che amplierà la sua importanza nel corso dei mesi successivi.[31] Il controllo di questa posizione nevralgica lungo la dorsale appenninica e alpina e delle sue fondamentali vie di comunicazione tra Nord e Centro Italia permetterebbe di preservare le linee di rifornimento, l’apparato produttivo e la capacità bellica dell’Asse. È necessario, tuttavia, trovare la collaborazione della popolazione locale: il ricorso al nuovo fascismo nella sua versione liberata dall’ingombrante compromesso con la monarchia diventa così di fondamentale importanza per ottenere questo obiettivo.

Riorganizzazione fascista

Contestualmente all’occupazione tedesca, il fascismo apuano si riorganizza. Carrara ritorna ad essere il centro della vita politica e sociale del fascismo provinciale con la sede della Federazione, dei sindacati provinciali e di categoria. A pari passo con l’organizzazione partitica procede l’organizzazione militare, il tutto in tempi brevissimi nonostante i dissidi interni riguardo la costruzione, o meno, di un esercito politicizzato.[32] In questa nuovo contesto, l’impatto della figura di Mussolini sui fedelissimi rimane centrale, come testimoniato da una lettera inviata da un bersagliere dopo la visita del duce a Pontremoli ed Aulla per ispezionare reparti della Rsi diretti al fronte in Garfagnana nel gennaio del 1945.

Il Duce è stato fra noi […]. Ho avuto la fortuna di seguirlo per due giorni, durante i quali si è intrattenuto con i bersaglieri dell’Italia. In tutti i reparti che ha visitato, l’entusiasmo dei soldati è esploso in tutta la sua potenza. […] I soldati volevano toccarlo, volevano dimostrare la loro fede in lui e nell’Italia repubblicana. […] L’Uomo delle grandi imprese è tornato. La lotta lo ha ringiovanito: le rughe sono scomparse, la fronte si è spianata e nei suoi occhi è tornata la fiamma.[33]

Diversi sono gli elementi da considerare. Il primo aspetto, di carattere più generale, riguarda l’intero periodo della Rsi, che sembra essere contrassegnato dal profondo scoraggiamento di Mussolini. Alla guida di un partito che ormai non riesce più a controllare e che fallisce nel riproporre la «purezza» del fascismo, Mussolini cerca disperatamente di recuperare il suo ruolo politico e migliorare la sua reputazione, ma senza ottenere risultati significativi.[34] La visione idealizzata di Mussolini riportata nella lettera testimonia l’incredulità della popolazione nel rivederlo nei suoi vecchi panni. Alcuni congressisti presenti a Verona, nella prima assemblea del Partito fascista repubblicano (Pfr), vista l’assenza di Mussolini, addirittura sospettano che il suo discorso a Radio Monaco sia frutto dell’imitazione della sua voce e che il duce sia, in realtà, ancora imprigionato o addirittura morto: il collaboratore del commissario federale della Spezia presente a Verona Nino De Barberi afferma che avrebbe voluto lasciare l’assemblea «potendo affermare di averlo veduto e sentito parlare».[35]

La seconda differenza risiede nella radicalizzazione dell’antifascismo in larghi strati della popolazione, tant’è che il grado di consenso nella provincia di Apuania non risulta rapido e nemmeno così forte: nell’ottobre 1943 a Massa si contavano solo 140 iscritti al Pfr,[36] quota che impallidisce di fronte alle oltre 800 persone iscritte per lo stesso periodo nella vicina La Spezia.[37] La volontà di riconquistare il consenso attraverso giri di propaganda e comizi – che vengono prodotti in quantità soprattutto a partire dal gennaio del 1944 – si scontra con la mancanza di materiale su cui lavorare. Mancano i documenti necessari contrassegnati dai nuovi simboli repubblicani per le comunicazioni ufficiali e addirittura fino al maggio 1944 continuano le richieste delle nuove bandiere da esporre.[38] Dai notiziari prodotti dalla Guardia nazionale repubblicana (Gnr) conosciamo queste iniziative e sappiamo del loro sostanziale fallimento, con una popolazione sostanzialmente «apatica» al nuovo indirizzo del fascismo.[39]

[…] la popolazione ha perso ogni fiducia nella classe dirigente […]. In generale lo stato d’animo della popolazione nei confronti dei tedeschi e del partito fascista è, nella provincia di Apuania, ostile.[40]

«La calma che regna è del tutto esteriore» osserva il Comando militare tedesco 1015, da cui dipendevano le province di Apuania, Lucca e Pistoia: «l’atteggiamento amichevole che si dimostra verso la Wehrmacht e gli organi italiani del partito è dettato esclusivamente da ragioni di opportunità».[41]

L’unica consolazione per il fascismo sembrava essere l’assenza di un atteggiamento di aperto sostegno al movimento resistenziale, che nella regione si svilupperà solo molto tardi: forte è il timore che la lotta attiva contro il fascismo possa sconvolgere la quotidianità.[42] Se dalle testimonianze di alcuni ex prigionieri britannici nel pontremolese l’accoglienza da parte della popolazione impegnata nelle campagne inizialmente sembrava positiva,[43] quando la penuria di cibo comincia a colpire le campagne e non solo le città il senso di ospitalità inizia a venire meno, in particolare a causa dell’approvvigionamento delle formazioni.[44]

Sia le formazioni partigiane che il fascismo repubblicano locale condividono un sentimento di avversione verso gli elementi esterni presenti in entrambe le schiere, spesso guardati con diffidenza. La convinzione, manifestata dal commissario prefettizio di Carrara Camillo Bruno, è che nella «deprecata ipotesi di atti ostili» verso gli appartenenti alle forze armate germaniche «essi non potrebbero che essere commessi da sicari forestieri infiltratisi tra la nostra popolazione».[45] Il localismo, sopravvissuto al ventennale centralismo del regime, sembra prevalere ancora una volta sulla volontà di controllo territoriale da parte di qualsiasi autorità, rendendo difficile un’effettiva gestione esterna del contesto locale.[46]

Guerra al quotidiano

Strade, ponti e ferrovie, da elementi di collegamento e unione, diventano improvvisamente luoghi di scontro, isolando le comunità.[47] L’arrivo di famiglie di «sfollati»[48] provenienti dal sud Italia e le ordinanze del 17 e del 22 ottobre 1943 – dove il capo della provincia di Apuania, Aurelio Ponte, ordina a tutta la popolazione residente nella zona compresa fra il mare e la ferrovia marittima fino alla località Fossone Alto ed i confini con la provincia della Spezia di sgomberare immediatamente – complica ulteriormente la situazione in un contesto già privo di una qualsiasi capacità ricettiva.[49] Nonostante ciò, i commissari prefettizi dei comuni della Lunigiana vengono incaricati di provvedere all’alloggiamento degli sfollati nelle case esistenti nel territorio del rispettivo Comune.[50] Gli uffici municipali sono tempestati da un numero enorme di richieste, dalle quali emerge chiaramente come le persone siano costrette a sistemarsi prevalentemente «in ambienti inadatti e insufficienti, prive di vestiario e di mezzi finanziari».[51] Al divieto di occupazione degli edifici, in particolare nelle zone montane, destinazione principale degli sfollati della zona, le famiglie rispondevano cercando asilo dove potevano, in molti casi arrivando ad occupare persino i locali scolastici.[52]

L’organizzazione dello sfollamento e l’assistenza agli sfollati sono gestite dal ministero dell’Interno e dagli enti pubblici locali, come prefetture e municipi. Queste attività sono cruciali per mantenere il consenso pubblico e la stabilità del fronte interno. Nonostante il segretario del Pfr Pavolini ottenga per il partito nell’ottobre del 1943 il controllo dell’assistenza agli sfollati,[53] i fondi e le direttive necessari per gestirla continuano a passare attraverso il capo della provincia. Questo favorisce le amministrazioni locali, che mantengono così una certa autonomia e controllo sulla gestione dell’assistenza, rendendo meno incisivo l’intervento diretto del partito.[54] 

In seguito alla conquista di Roma, l’avanzata delle forze americane in Toscana porta la prefettura di Apuania a informare la popolazione dell’intenzione del comando tedesco di effettuare un ulteriore sfollamento.[55] L’ordine di evacuazione totale delle città di Massa e Carrara incontra una forte opposizione da parte degli abitanti di Carrara,[56] che ritengono i rischi di rimanere inferiori alle conseguenze «morali e materiali» di questa «forzata migrazione».[57] In diversi manifesti rinvenuti nell’Archivio dell’Istituto storico toscano della Resistenza emerge un forte appello a non sfollare che coinvolge tutti i partiti antifascisti attivi nella provincia.[58]

APUANI! […] Voi sapete cosa vuol dire sfollare! Sfollare vuol dire abbandonare le vostre case, i vostri beni […] Gli uomini saranno divisi dalle donne e dai fanciulli e portati in Germania […] opponetevi con tutti i mezzi allo sfollamento. Sarete fiancheggiati nella lotta da tutta la popolazione della Provincia.[59]

Per continuare a sostenere la causa fascista in altre località maggiormente sicure, la prefettura di Apuania rende noto che il comando di piazza germanico, «nei limiti consentiti dalla situazione militare», avrebbe permesso, fornendo anche i propri mezzi, ai capi delle amministrazioni pubbliche e alle personalità che collaboravano coi tedeschi di trasferirsi al nord con le loro famiglie.[60]  Chi non fa parte dell’universo collaborazionista è costretto ad andarsene per proprio conto e con mezzi di fortuna. La destinazione è incerta e spesso legata all’iniziativa personale: la popolazione di Massa e Carrara sceglie spesso i paesi limitrofi della Lunigiana come riferimento, dimostrando un attaccamento al vivere quotidiano, fatto di «abitudini semplici ma consolidate».[61]

Chi vuole rimanere in città a tutti i costi, consapevole dei rischi, può comunque contare su un tessuto sociale stabile e su punti di riferimento precisi. Tuttavia, ciò su cui non si può fare affidamento è il lavoro: a causa dei continui bombardamenti e dell’avvicinarsi del fronte, i principali stabilimenti industriali sono chiusi, ad eccezione di quelli impegnati nella produzione bellica, sebbene con personale fortemente ridotto.[62] L’occupazione nelle cave di marmo, principale fonte di lavoro e identitaria per la popolazione locale, diminuisce drasticamente.[63] La distruzione dello Jutificio Montecatini di Aulla[64] e degli stabilimenti di esplosivi della Società Generale Esplosivi e Munizioni (SGEM) ha un forte impatto sull’opinione pubblica: i lunigianesi, pur consapevoli dei bombardamenti che colpiscono la vicina La Spezia, stentano a credere che la loro terra possa essere oggetto di attacchi aerei.[65] Ai bombardamenti Alleati segue il progressivo smantellamento dei macchinari sotto la supervisione tedesca: dai rapporti ufficiali della Gnr emerge la preoccupazione dalle maestranze, consapevoli che avrebbero ben presto perso il loro lavoro.[66]

La disgregazione del già esiguo apparato industriale della zona costringe centinaia di operai a un bivio: tornare ai lavori agricoli oppure offrirsi volontariamente per essere inviati a lavorare in Germania o presso l’Organizzazione Todt. Attraverso una capillare campagna di stampa, spesso riportata sulle pagine de Il Telegrafo, si insisteva sulle condizioni vantaggiose per chi si recava a lavorare per il Reich.[67] Per una maggiore pervasività del messaggio gli esercizi pubblici in possesso di una radio vengono esortati a far ascoltare i comunicati radio governativi a cadenza regolare.[68]

Dagli incentivi e dalle esortazioni si passa presto al terrorismo aperto minacciando e attuando la precettazione dei lavoratori che non si presentano volontariamente.[69] Il capo della provincia, il 12 novembre 1944, invita i comuni a predisporre gli elenchi per l’arruolamento di lavoratori da inviare in Germania o da adibire a opere d’interesse bellico intraprese dai tedeschi sul suolo italiano.[70] Si invitavano i funzionari a «svolgere la massima attività e opera di persuasione […] affinché il contingente richiesto sia raggiunto».[71] Il loro reclutamento, tuttavia, incontra «scarse simpatie»[72], in quanto, secondo il questore Spatazza, mancava una «adeguata preparazione propagandistica»[73]. Un grosso problema riguardava la divulgazione di notizie da parte operaia sulle opere di fortificazione e le difese tedesche in zona, sfruttate fin da subito dal Cln.

[…] l’informe ed eterogenea massa degli uomini, reclutati dalla Todt, senza nessun discernimento e vaglio, lascia profondamente addolorata la popolazione, sia per la verbosità degli operai nel divulgare dati topografici sulla disposizione delle varie opere di difesa, sia per le loro dichiarazioni di lavorare per chi dà loro da mangiare, senza alcuna idealità.[74]

Sono diffuse le sospensioni del lavoro e gli scioperi bianchi tra i lavoratori e gli operai della Todt, che chiedono migliori condizioni e aumenti salariali.[75] Queste proteste anticipano la grande sollevazione del marzo 1944, che, pur concentrandosi principalmente nel triangolo industriale, riceve un forte sostegno anche nella provincia, dove vengono distribuiti manifesti stampati che incitano i lavoratori allo sciopero generale.[76]

Il fallimento del plebiscito armato

Lo spirito pubblico è fortemente influenzato dall’elevato costo della vita, dalla difficile situazione alimentare, dalle requisizioni a cui la popolazione è immediatamente sottoposta e dal negativo impatto delle notizie sullo sfollamento della zona costiera.[77] Ulteriore benzina sul fuoco viene gettata dai decreti emanati per il reclutamento forzato – come il Bando Graziani, la formazione dell’Esercito Nazionale Repubblicano, l’istituzione della Gnr e delle Brigate Nere – che aumentano le incertezze e il malcontento tra la popolazione.[78] Una via di fuga può essere lavorare per l’Organizzazione Todt o per aziende private impegnate in commesse per conto dei tedeschi, in modo da evitare la chiamata alle armi.[79] La complicità con gli amministratori dei vari comuni della Lunigiana può rivelarsi utile per evitare l’arruolamento: ne è un esempio la testimonianza di Aldo Facciolo, classe 1921 di Fosdinovo, che grazie alla sua amicizia con il vice podestà del paese riuscì a ottenere una falsa carta d’identità con una nuova data di nascita, il 1918.[80]

Chi accetta il reclutamento si trova di fronte a una situazione di certo non rassicurante: caserme fatiscenti, penuria di mezzi e caos organizzativo sono la normalità.[81] Per ovviare almeno in parte alla scarsità di locali ed equipaggiamenti, il distretto militare di Apuania chiede ai podestà di rendere noto che un premio in denaro viene consegnato alle reclute che si presentano portando con sé il corredo militare.[82] In questo contesto, è fondamentale la capacità dei partiti antifascisti della zona di instaurare un rapporto concreto con le prime bande di renitenti e partigiani, integrandosi nell’ambiente in cui operano per spingerli a passare dalla resistenza passiva all’azione.[83]

Dato il clima per niente favorevole, le autorità temono fin da subito l’eventualità della renitenza, e il 15 novembre 1943, primo giorno di presentazione ai distretti, il capo della provincia preme sui comuni affinché si adoperino per persuadere tutti del dovere di assolvere agli obblighi di leva. Il timore è che «qualche elemento, male consigliato e soprattutto suggestionato da voci interessate alla rovina della Patria o da trasmissioni di radio nemiche», non si presenti. Come incentivo per chi vuole mantenere la propria «posizione ambigua» sono previsti provvedimenti «sia a carico del podestà sia del capofamiglia»[84]. A questa minaccia – a volte concretizzata con l’arresto dei padri di giovani renitenti, trattenuti fino a quando i figli non si presentano – si aggiunge la consegna diretta alle famiglie dei richiamati di manifesti contenenti i decreti di chiamata.[85] Tale atteggiamento predatorio induce un certo numero di giovani a presentarsi,[86] seppur «con scarso entusiasmo».[87]

Il colonnello Agostino Ferrauto si rivolge ai podestà dei comuni lunigianesi chiedendo se sia possibile organizzare riunioni di propaganda, durante le quali ufficiali del comando militare provinciale incitano i presenti a contribuire alla ricostituzione del «nostro glorioso Esercito». In queste occasioni vengono messe in evidenza le «eccezionali» misure di assistenza disposte a favore delle famiglie dei richiamati e dei coscritti, accompagnate dalla creazione di un «Centro informazioni» nelle sedi dei comuni.[88] Tuttavia, nonostante l’istituzione di tali centri a Massa e Carrara,[89] inizialmente non ci si aspetta di dover far fronte ad «un ribellismo di marca locale»[90]. Si cerca di rimediare a questa iniziale ingenuità con il nuovo capo della provincia, il lunigianese e pontremolese Ernesto Buttini, «figura ambigua e fascistissima».[91] A dargli man forte nella caccia ai renitenti e ai disertori è il commissario della Federazione dei fasci repubblicani di Apuania, il generale Bruno Biagioni. Secondo il commissario federale, non è più lecito «scambiare il desiderio di pacificare gli animi, che ha animato fino ad ora il partito, con della debolezza»: è arrivato il momento di cambiare rotta.[92].

La radicalizzazione delle contromisure fa crescere l’ostilità della popolazione e allo stesso tempo impone cambiamenti di atteggiamento dalla parte opposta della barricata.[93] La risposta alle intenzioni bellicose di Biagioni non si fa attendere, e si manifesta con l’attacco alla federazione dei fasci repubblicani di Apuania:[94] i due caduti fascisti vengono definiti come «umili eroi» morti «per l’ideale superiore della Patria».[95] Nonostante il tiepido appoggio da parte della popolazione locale i Partigiani scelgono la linea dura: sono numerosi i manifesti sovversivi rinvenuti sul territorio lunigianese dove si minaccia apertamente di morte chiunque collabori con i tedeschi.[96]

Tutti gli appartenenti alla Gnr saranno ritenuti personalmente responsabili di ogni atto, di qualsiasi natura, da chiunque comandato, che sia eseguito in favore delle forze di occupazione tedesche o dei fascisti. Nessuno potrà giustificarsi dicendo che ha dovuto obbedire agli ordini superiori.[97]

Diverse lettere contenenti queste esortazioni arrivano direttamente per posta ad alcuni suoi esponenti e ad altri della Polizia Repubblicana.[98] Nel caso queste pressioni non risultino sufficienti, si passa direttamente al sequestro di persona e alle minacce personali,[99] o a casi più estremi: nella cintura dei pantaloni di un milite della Gnr il 9 aprile 1944 viene rinvenuto un biglietto con un testo così concepito: «Queste bestie si possono seppellire senza tribunale».[100]

La «propaganda sovversiva» diventa sempre più audace e più invasiva[101] anche grazie al sostegno da parte Alleata,[102] con il lancio di manifesti sul territorio atti a sostenere la lotta resistenziale e l’opposizione a qualsiasi forma di reclutamento.[103] È molto importante considerare l’impatto emotivo di questa forma di sostegno, poiché rappresenta un «sollievo morale» per una popolazione che altrimenti poteva sentirsi abbandonata a sé stessa.[104] Le nuove direttive dei partiti antifascisti, sempre più presenti nel territorio, e il crollo della linea di Cassino incentivano la produzione di una stampa clandestina orientata a sostenere e a diffondere l’idea di un arrivo Alleato sempre più prossimo e a portare avanti una «propaganda disfattista» significativamente efficace.[105]

Per la Rsi ogni tentativo di rimpolpare le proprie fila è un fallimento. I presidi della Gnr più isolati, sempre più insicuri, sono assaltati e progressivamente abbandonati per orientarsi verso località maggiormente protette dalle armi tedesche.[106] La progressiva liquefazione della struttura periferica della Repubblica di Mussolini crea una notevole deficienza numerica dei Funzionari e degli agenti di Polizia.[107]

[Sulla tenuta dell’ordine pubblico, N.d.A.] c’è poco da contare […] da oltre nove mesi si è fatta presente la situazione, si sono chiesti rinforzi, armi, munizioni, automezzi. Poco si è ottenuto. Pochissimo per una provincia che è veramente in preda alla guerra civile. Recentemente sono giunti 60 agenti di polizia: nessuno armato.[108]

Risorgimento conteso

La riorganizzazione del fascismo in forma repubblicana comporta nuove nomine di capi provincia e commissari prefettizi. A loro è demandato il compito di ripristinare il controllo sull’andamento «tipicamente badogliesco» dei responsabili della stampa a livello locale,[109] e per questo motivo assumono una rinnovata centralità nel disegno di Mussolini.[110] Nonostante l’intenzione di unire le funzioni statali e di partito in un’unica figura – quella del capo della provincia – ciò è avvenuto raramente, rendendo l’apparato statale parzialmente slegato dalla struttura del partito a livello provinciale. Il contesto sociale e le necessità economiche del territorio porta i rappresentanti delle amministrazioni locali ad assumere un atteggiamento ambiguo verso le direttive del governo, orientandosi in modo da tutelare il «proprio residuale potere di rappresentanza istituzionale a livello locale».[111] Si crea così una competizione e un confronto tra diverse istituzioni (come prefetture e comuni) e tra lo Stato e il partito che mette in evidenza le contraddizioni e i limiti del rivisitato progetto totalitario mussoliniano.[112] Oltre a ciò si sviluppa un localismo difensivo e un patriottismo legato al territorio, in cui alcuni esponenti locali cercano di nascondere quasi ogni riferimento al fascismo, puntando invece sulle esigenze e su un senso di appartenenza puramente locale.[113]

A Licciana Nardi, per esempio, viene insediato dal prefetto di Apuania l’avvocato Giulio Galeotti che, giovanissimo, era stato attivo propagandista socialista e poi assessore comunale alla Spezia.[114] Fin dal suo debutto Galeotti ha messo in chiaro la sua visione:

Assumo, per Decreto del Prefetto, l’Amministrazione del Comune in questo momento grave. Conto sulla vostra collaborazione e soprattutto sulla vostra disciplina. Bruciamo in un rogo ideale ire, risentimenti, discordie, e lasciamo che le fiamme salgano ai purissimi cieli della Patria.[115]

Il suo successore a Licciana dopo pochi mesi, Francesco Pino, aggiunge: «Ognuno compia il proprio dovere sia nel campo sociale che in quello del lavoro, comportandosi nel modo più esemplare».[116] Quello che salta all’occhio fin da subito è la mancanza di accenni espliciti al fascismo e agli occupanti tedeschi. La tendenza alla pacificazione, presente anche in parte del Pfr, prende piede nelle fasi iniziali della Rsi come tentativo di non esacerbare ulteriormente il clima già rovente della guerra civile.[117] D’altra parte, per Mussolini certe polemiche tra moderati ed estremisti sono fuori luogo e trasmettono un’immagine incerta: sarebbe meglio stroncarle subito, evitando il pericoloso equivoco che il regime sia disposto a tollerare qualche spiraglio di libertà.[118]

In ogni caso le istituzioni della neonata repubblica di Mussolini devono affrontare l’ingerenza tedesca per farsi riconoscere come vera e principale autorità della zona di riferimento. Si tenta di trovare così possibili alleati sul territorio: esemplificativa in tal senso è la circolare indirizzata ai parroci del comune di Apuania da parte del commissario prefettizio del 4 ottobre 1943. Si cerca di stimolare i parroci a portare il loro contributo «perché la situazione non produca rovine e lutti […]. In particolar modo la cittadinanza risentirebbe moltiplicate le conseguenze che gesti di qualche sconsiderato non mancherebbe di far ricadere su tutti noi». Viene richiesta alle istituzioni ecclesiastiche l’affissione di manifesti pubblici col compito di avvisare la popolazione «dei gravissimi pericoli che incombono su tutti noi ove la tranquillità del nostro popolo in qualsiasi momento od occasione fosse turbata da gesti inconsulti ed improduttivi».[119] Se da parte del fascismo repubblicano il coinvolgimento del personale ecclesiastico può essere di fondamentale importanza «al fine di ottenere il loro contributo di propaganda e di azione»,[120] in Lunigiana questa strada risulta difficilmente percorribile: la richiesta della lettura degli avvisi delle autorità della Rsi dai pulpiti si scontra con il mancato riconoscimento della nuova repubblica di Mussolini da parte del vescovo di Pontremoli Giovanni Sismondo.[121]

Falliti i tentativi di trovare un sostegno nel mondo ecclesiastico ed un’identità comune anche all’interno dello stesso Pfr, vi è il tentativo di consolidare un’identità collettiva e di rafforzare il senso di unità nazionale appropriandosi delle idee risorgimentali. Fin da subito Mussolini, nel suo primo discorso del 18 settembre 1943, annuncia la sua nuova repubblica sottolineando la continuità storica e ideale tra l’esperienza garibaldina e quella delle camicie nere.[122] 

[…] occorre tradurre nei fatti le due parole che simboleggiano il fatto di tutta l’opera di Mazzini e di tutto l’epopea del Risorgimento: Martirio, la parola d’ordine; Resurrezione, la risposta.[123]

Per il fascismo il regime aveva rappresentato il culmine del processo risorgimentale, la creazione di una «comunità di parentela» che aveva unito gli italiani attraverso il mito di una discendenza comune gettando le basi dell’identità nazionale sui concetti di sangue, terra, lingua e cultura.[124] Durante la Rsi, il sacrificio per la patria nella lotta contro gli Alleati diventa centrale proprio per preservare l’onore e la purezza della nazione italiana «tradita» dalla monarchia e da Badoglio.[125]

Sulla rivista Italia e civiltà, organo dei fascisti cosiddetti «moderati»[126], un articolo su Mazzini ricorda ai lettori come il patriota del Risorgimento avesse criticato gli italiani per la loro pigrizia e mancanza di convinzione.[127] Diversi giornali richiamano costantemente al dovere patriottico di combattere per la patria e di appelli alla «serietà».[128] Questa retorica, fondamentale in un momento in cui il controllo del territorio sembra lontano dall’essere saldo, fa leva sull’«unione degli onesti contro i perturbatori della concordia nazionale», evocando «i sommi principi del vivere civile e del sentimento d’amor patrio» per prevenire strumentalmente qualsiasi tipo di problematica legata a possibili sollevazioni popolari.[129]

Il collegamento ideale ai grandi moti del Risorgimento avviene anche per le formazioni partigiane. Secondo Claudio Pavone il libro di Luigi Salvatorelli, Pensiero e azione del Risorgimento[130], uscito poco prima della caduta del fascismo, influenza molti giovani che vogliono opporsi al fascismo e ai tedeschi.[131] Diversi sono gli esempi dell’influenza degli ideali risorgimentali sul movimento resistenziale locale, come quello dei Patrioti Apuani, composti in gran parte da uomini sopravvissuti alla strage di Forno.[132] Nel giornale della Resistenza Il Patriota, ritrovato tra le memorie di uno dei membri dei Patrioti apuani, appare una citazione attribuita a Giuseppe Mazzini: «Conquistare la libertà non è soltanto un diritto, è un dovere».[133] La Brigata Cento Croci, sebbene legata al Partito Comunista nella zona dello spezzino, si presenta come un’organizzazione militare patriottica senza finalità politiche. Nel suo giuramento, ogni membro si impegna «nel nome della Patria» a combattere sino alla completa liberazione.[134] Nel dicembre del 1944, durante la riorganizzazione della I Divisione Liguria nella IV Zona Operativa, si decide di adottare esclusivamente il termine «patrioti» per indicare i membri delle formazioni, vietando l’uso del termine «partigiani», fino ad allora comunemente utilizzato.[135] 

L’immaginario risorgimentale utilizzato dalla Resistenza mira a legittimare la propria azione come una naturale prosecuzione delle lotte per la libertà e l’indipendenza dell’Italia. L’obiettivo diventa promuovere una lotta politica condivisa in un contesto in cui, dopo vent’anni di regime fascista, i riferimenti comuni sono limitati a figure come Mazzini e Garibaldi.[136]

Nonostante il differente scopo prefissatosi, un elemento comune tra partigiani e fascisti repubblicani è la loro reinterpretazione del Risorgimento liberato da ogni riferimento alla «casta reazionaria monarchica»[137] e al suo ruolo nell’unificazione dell’Italia. Solo in un secondo momento arriva la consapevolezza che ad aver partecipato al conflitto era stata solo una minoranza rispetto ad una maggioranza «indifferente e passiva»[138], come una minoranza senza dubbio era quella che aveva animato i moti risorgimentali.[139]

«Amor di patria, non ragion di partito»[140]

Con l’approssimarsi dell’inverno del 1944, la vita dei lunigianesi risente in misura rilevante delle conseguenze dei grandi rastrellamenti e delle stragi estive, funzionali alla strategia tedesca di creare un vuoto attorno al movimento resistenziale.[141] Questi eventi colpiscono indiscriminatamente la popolazione civile, provocando profonde lacerazioni nel tessuto comunitario. Di fronte a tali violenze, molte famiglie abbandonano i propri paesi, aggravando una situazione già precaria. Le rappresaglie, oltre a causare distruzione materiale, lasciano cicatrici nella memoria collettiva, alimentando insicurezza e sfiducia verso qualsiasi autorità che tenti di affermarsi sul territorio. Questo clima di tensione contribuisce a incrinare ulteriormente il fragile rapporto tra la Resistenza e la popolazione. Le bande sembravano essere diventate «calamite pericolose»,[142] in grado di attirare a sé gli aguzzini nazifascisti: il solo sospetto della presenza di ribelli nella zona fa scattare la scintilla dei massacri, e i «banditi»[143], a causa della penuria di armi e dell’assenza di un’azione coordinata, non sembrano poter difendere la popolazione.[144] Alcuni sono convinti che «se non vi fossero stati i partigiani […] non avrebbero dovuto patire tutte quelle tragiche vicende».[145]

Nei paesi distrutti dalla furia tedesca e fascista uno spirito nuovo sembra animare, pur nel forzato riserbo, la maggioranza della popolazione. È nelle amministrazioni comunali – i cui podestà e commissari prefettizi sono sottoposti da una parte alle pressioni dei tedeschi e del fascismo repubblicano e dall’altra a quelle dei Cln e delle brigate partigiane – che non sembra sciogliersi quell’alleanza cementificata dalla provenienza locale di molti di coloro che appartenevano alle schiere di «ribelli». Essi tentano generalmente di portare avanti la loro attività destreggiandosi e, talvolta, riuscendo a comporre contrasti o ad appianare divergenze, nell’interesse proprio e della popolazione[146]. In diversi comuni, convinti fascisti – come nel caso di Albiano Magra o di Fivizzano – o meno, con la loro condotta «autonoma e intollerante degli ordini centrali»[147], accettano di immettere nell’esercizio di determinate branche dell’amministrazione comunale rappresentanti o persone vicine al Cln.  Con il trasferimento della maggior parte degli uffici provinciali a Pontremoli,[148] due funzionari della prefettura, Alberto Del Nero e Ugo Bernieri, diventano il tramite con il mondo resistenziale.[149] L’istituzione, nel dicembre 1944, di un ufficio comunale distaccato a Massa, vede attivo il funzionario della prefettura Giulio Guidoni, figura di compromesso gradita sia alla Rsi che al Cln apuano, tanto da essere eletto sindaco della città con la Democrazia Cristiana nel 1946.[150] 

I casi simili sono numerosi: a Fivizzano è attivo per conto del Cln il capo dell’Ufficio tecnico comunale Alberto Tonelli; a Podenzana Ado Castellini – «Tito» – controlla l’amministrazione comunale: insieme a Ottorino Schiasselloni e a Lorenzino Tornabuoni – «Cino» – collaborano con l’amministrazione comunale di Tresana-Barbarasco, influenzando il podestà Artemio Boni tramite Amelio Giuliotti, impiegato comunale del luogo.[151] In una Aulla militarmente occupata dai tedeschi e sottoposta a stretta vigilanza, il commissario prefettizio Callisto Cappelli collabora con il ragioniere Mario Pioli, partigiano diventato successivamente impiegato comunale.[152]

Le enormi difficoltà incontrate dalle autorità del fascismo repubblicano nello sviluppare la coscienza e quindi la partecipazione consapevole e senza riserve delle popolazioni porta a scegliere elementi locali stimati e rispettati, che già nella vita comunitaria esercitavano un’influenza o si erano conquistati fiducia e stima.[153] Il capo della provincia Buttini prega i podestà e i commissari prefettizi di procedere, in accordo coi segretari del fascio, alla scelta di un nominativo per ogni frazione «iscritto o non iscritto al Pfr», edotto della situazione e delle necessità delle popolazioni, che potesse fare da tramite.[154] Nella scelta dell’apparato amministrativo, almeno per quanto riguarda i suoi vertici, Mussolini in persona in diverse direttive ai capi delle province richiede che la scelta ricada su uomini «volenterosi, stimati dalla popolazione e di sicura coscienza nazionale» anche se non in possesso della tessera del Pfr.[155] Se ciò risponde al «diffondersi di insinuazioni sulla tessera del Partito quale passaporto per le varie cariche e uffici»[156] – come già era avvenuto durante in regime – dall’altra implicitamente si riconosceva che proprio gli uomini del partito non erano particolarmente invisi alla popolazione.[157]

La resa dei conti

Il progressivo indebolimento delle strutture repressive e amministrative della Repubblica di Salò porta i comandi e i presidi tedeschi a subordinare tutto l’interesse nel rifornimento del fronte garfagnino. L’idea di affiancare ai prefetti fascisti dei consiglieri amministrativitedeschi, istruiti preventivamente dal plenipotenziario Rahn, non va in porto, in quanto non era possibile trovare il personale necessario.[158] La ricerca del compromesso, da parte tedesca, diventa il modo per contrastare una situazione che ormai stava sfuggendo di mano. Permettere ai partigiani di occupare diversi paesi della zona diventa un modo per limitare la loro azione offensiva sempre più invadente. Per il movimento resistenziale la ricerca del compromesso porta incertezza, il pericolo di macchiare la purezza dei principi che anima la lotta: tuttavia ancora troppo vivido era il ricordo delle recenti stragi, a cui si sommava la stanchezza e la solitudine della vita in montagna.

In questo contesto podestà e commissari prefettizi diventano spesso intermediari tra le formazioni partigiane e le forze armate tedesche o repubblicane. Gli episodi di violenza estrema, come le stragi di Forno e Vinca, mettono in luce le difficoltà delle autorità locali della Rsi nel mantenere un ruolo attivo e credibile. Questi massacri, eseguiti con l’approvazione o la supervisione tedesca, posero le amministrazioni locali in una posizione delicata: da un lato marginalizzate dall’alleato occupante tedesco, dall’altro incapaci di proteggere le proprie comunità, il loro margine di manovra veniva progressivamente ridotto, ma non del tutto annullato.

Un esempio emblematico del tentativo di limitare la guerriglia senza ricorrere ai rastrellamenti si verifica il 6 novembre 1944 a Pontremoli, durante un incontro tra il capo della provincia Buttini, una delegazione di rappresentanti tedeschi e il comando della II Brigata Partigiana Julia. In questa occasione, i tedeschi e la Gnr si accontentano di controllare la strada e la ferrovia della Cisa, lasciando le aree circostanti e le popolazioni locali sotto il controllo dei partigiani.[159] Simili accordi vengono tentati da Buttini anche con la I Divisione Liguria,[160] con la proposta dell’estensione dell’accordo appena citato anche sulla provincia di Spezia, con la collaborazione del collega Giovanni Appiani.[161]

Simili dinamiche a livello provinciale sono riprese a livello comunale. Nel novembre del 1944, a Licciana Nardi, il podestà Francesco Pino, con il supporto del parroco, agisce come intermediario tra i partigiani della IV Brigata Garibaldi “Apuana” e il comando degli alpini della Divisione Monterosa, stanziati nella vicina frazione di Bigliolo. L’obiettivo è uno scambio di prigionieri: nonostante l’esito positivo della trattativa, pochi giorni dopo, Francesco Pino viene ucciso a Campogrande. Le circostanze della sua morte rimangono incerte, e le diverse versioni non permettono di attribuire con precisione le responsabilità.[162] La nomina di Adolfo Cotzia, scelto con il sostegno della comunità locale e sostenuto dal capo della provincia, sembra ancora una volta frutto di un compromesso: l’influenza crescente degli antifascisti nella nomina è evidenziata dal fatto che Cotzia viene confermato sindaco al momento della Liberazione[163].

Ancora più eclatante il caso di Carrara, dove il commissario prefettizio e il comando tedesco trattano con i partigiani la cosiddetta prima liberazione di Carrara il 9 novembre 1944:[164] si riconoscono le reciproche aree di controllo e di interesse, con una scelta che appare, di fatto, praticamente obbligata per la resistenza apuana, che non dispone delle forze e dei mezzi per controllare la città.[165] Queste decisioni e questi tentativi di compromesso, seppur spesso fallimentari, incidono profondamente sulla memoria della guerra nella provincia, come si può notare dalle carte prodotte dalla Corte d’Assise Straordinaria di Apuania.

Molti abitanti, nelle testimonianze, riconoscono nelle amministrazioni fasciste repubblicane locali – come quella di Fivizzano, dove l’imputato Giuseppe Landini era segretario politico del fascio –[166] un carattere «paternalistico e permissivo», diventato repressivo solo con l’aumento dell’ingerenza tedesca.[167] Nel rapporto del Cln redatto durante l’arresto di Antonio Parisio, segretario del Pfr di Pontremoli, si sottolineano la sua professione di notaio e la sua costanza nell’esercitarla anche negli anni del conflitto. Questo, nell’immaginario locale, lo colloca nell’ambito «civile» e non politico e, nonostante la carica ricoperta, viene considerata soprattutto la sua professione e la sua lontananza dai corpi militari.[168]

Per quanto riguarda i pochi civili coinvolti, un caso emblematico riguarda un collaboratore della Gestapo. Il suo collaborazionismo viene in qualche modo giustificato dal suo «temperamento fantastico, romantico» e dal suo forte «spirito d’avventura»[169], che lo rende facile preda della propaganda tedesca.[170] È interessante notare come i «temperamenti desiderosi di avventura» sembrano attrarre anche diversi elementi nel «crogiuolo della guerriglia», come sostenuto da Mario Giovana.[171] Tutti gli imputati presi in considerazione in questa trattazione vengono assolti, sottolineando l’aiuto che danno alle popolazioni in quelle terribili circostanze e affermando che la loro condotta non è rivolta «né obiettivamente né intenzionalmente a collaborare con i tedeschi».[172]

Questa situazione non può che generare malcontento: basta una rapida occhiata alle liste stilate dalle commissioni di epurazione dei Cln per la provincia per ottenere un quadro nettamente contrastante con la mitezza delle sentenze emesse.[173] Nell’estate del 1946, in Lunigiana, una protesta coinvolge diversi partigiani delusi da queste sentenze e dall’amnistia Togliatti, i quali condannano la persistenza di residui fascisti nella società e nella magistratura.[174] La sostituzione generalizzata dei prefetti della Liberazione, che avviene durante il primo governo De Gasperi e coinvolge Pietro Del Giudice,[175] provoca una notevole agitazione tra la popolazione e alimenta il timore di «possibili disordini».[176] L’appello, tuttavia, risulta univoco: è quello agli «ideali che nel Risorgimento ci riunirono in un solo popolo e che ora debbono guidare, dopo tanta rovina, la ricostruzione civile. Che essi non degenerino in vendette private».[177]

Conclusioni

La pervasività del conflitto e le sue conseguenze determinano rapidamente la necessità di riappianare i contrasti emersi durante la guerra civile, poiché la popolazione, ormai stremata, richiede con urgenza una pacificazione. Anche i più gravi episodi di violenza vengono, in molti casi, condonati, poiché l’obiettivo principale è ristabilire un equilibrio sociale e un terreno comune per la convivenza. In un territorio come la Lunigiana, la fiducia e il sostegno reciproco rimangono di vitale importanza, elementi essenziali per superare le devastazioni e le stragi. La coesione sociale e identitaria locale è profondamente minacciata, e ricostruire quel legame diventa prioritario.

Come abbiamo visto, tutte le fazioni in campo hanno tentato di instaurare un rapporto stretto con il territorio in cui operavano, influenzate dalle complessità dell’ordinamento amministrativo italiano e dalle ambiguità normative. Queste ambiguità, se da un lato ostacolano la giustizia, dall’altro permettono margini di autonomia rispetto alle autorità occupanti.[178] In questo modo i rappresentanti dello stato in Lunigiana hanno potuto in parte mostrare una loro «impermeabilità»[179] dalle autorità naziste e fasciste repubblicane che gli ha permesso di porsi in una logica dialogica con l’affermazione di una Resistenza difensiva e concentrata sull’affermazione e sulla salvaguardia delle «piccole patrie montane».[180] Ciò che sembra emergere è un «patriottismo popolare»[181] che pone la difesa degli interessi locali al centro del processo di riconciliazione e di ricostruzione del tessuto comunitario.


[1] L. Longo, Un popolo alla macchia, Milano, Mondadori, 1947

[2] A. Bianchi, La Spezia e Lunigiana: società e politica dal 1861 al 1945, Milano, F. Angeli, 1999, pp. 13-37

[3] E. Palla, Popolo e partigiani sulla linea gotica: storia politica della Comunità massese, 1943-1945, Legnano, Landoni, 1974, pp. 179-181

[4] L. Klinkhammer, “«L’alleato occupato». Sulla struttura del dominio d’occupazione tedesco in Italiadal 1943 al 1945, Storia e memoria, n.3 (1994), pp. 19-36.

[5] L. Baldissara, “Eclissi del centro e necessità di governo del territorio. Le contraddizioni tra spazio politico e luoghi del potere nella Rsi”, E-Review, n. 6 (2020)

[6] S. Peli, La Resistenza difficile, Milano, Franco Angeli, 1999, p. 37

[7] C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991

[8] M. Mazzoni, Fragilità del governo, violenza della precarietà: la Rsi in Toscana. Assistenza, mobilitazione bellica, propaganda sulla stampa della Repubblica sociale, “E-Review”, n.6 (2018)

[9] M. Fiorillo, Uomini alla macchia: bande partigiane e guerra civile in Lunigiana 1943-45, Roma-Bari, Laterza, 2010, Edizione digitale, giugno 2014

[10] D. Breschi, Un modello fascista di sviluppo: ruralismo o industrialismo, in A. Moioli (a cura di), Con la vanga e col moschetto, Ruralità, ruralismo e vita quotidiana nella Rsi, Venezia, Marsilio, 2006, p. XVIII

[11] T. Rovatti, Linee di ricerca sulla Repubblica sociale italiana, “Studi storici”, n.1 (2014)

[12] Archivio Centrale dello Stato [d’ora in poi ACS], Ministero dell’interno, Gabinetto, RSI – Affari generali 1943-1945, Questura di Apuania, b.10, Relazioni, Situazione politica, 10/04/44, p. 1

[13] M. Fiorillo, Uomini alla macchia, cit.

[14] A. Bianchi, La Spezia e Lunigiana – società e politica dal 1861 al 1945, Milano, Franco Angeli, 1999, pp. 349-385

[15] L. Baldissara, Italia 1943: la guerra continua, Bologna, Il Mulino, 2023

[16] M. Borghi, La stampa della RSI: 1943-1945, Milano, Guerini e Associati, 2005

[17] F. Germinario, L’altra memoria: l’estrema destra, Salò e la Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri 1999, p. 87

[18] ACS, Ministero dell’interno, Gabinetto, RSI – Affari generali 1943-1945, Telegramma di Mussolini ai capi delle province, 6 dicembre 1943

[19] L. Quintermine, Mussolini’s last republic: propaganda and politics in the Italian Social Republic (R.S.I.) 1943-45, Exeter, 2000, Chapter 4

[20] U. Alfassio Grimaldi, La stampa di Salò, Milano, Bompiani, 1979, pp. 6-10

[21] L’espressione fu coniata dal giurista Salvatore Satta nell’opuscolo De profundis del 1948.

[22] N. Tranfaglia, La stampa italiana nell’età fascista, Roma-Bari, Laterza, 1980, p. 216

[23] G. Engely, «Il Telegrafo», 9 settembre 1943

[24] C. Pavone, Una guerra civile, cit. p. 124

[25] T. Schlemmer, La guerra palmo a palmo, Il conflitto in Italia, i combattimenti per la Linea Gotica e l’esperienza dei soldati tedeschi nel 1944-45, in M. Carrattieri; A. Preti, Comunità in guerra sull’Appennino. La Linea Gotica tra storia e politiche della memoria, Roma, Viella, Edizione digitale, 2020

[26] A.A. V.V., Storia e memoria: Rivista semestrale, Genova, Istituto storico della resistenza in Liguria, 1992, p. 53

[27] L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, 1943-1945, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, p. 53

[28] G. Schreiber, Il fronte occidentale della Linea Gotica, in Comitato nazionale 50° anniversario della Resistenza e della Liberazione (a cura di) Eserciti popolazione Resistenza sulle Alpi Apuane: atti del Convegno internazionale di studi storici sul settore occidentale della Linea Gotica, Lucca, S. Marco litotipo,1994, pp. 35-37

[29] M. Fioravanzo, Mussolini e Hitler: La Repubblica sociale sotto il Terzo Reich, Roma, Donzelli, 2009

[30] Con regio decreto n. 1860 del 16 dicembre 1938 la denominazione della Provincia, comprendente i comuni di Massa, Carrara e Montignoso, divenne Apuania e le tre città unite in un unico comune.

[31] M. Palla, Rsi e occupazione tedesca, in Comitato nazionale 50° anniversario della Resistenza e della Liberazione (a cura di) Eserciti popolazione Resistenza sulle Alpi Apuane: atti del Convegno internazionale di studi storici sul settore occidentale della Linea Gotica, Lucca, S. Marco litotipo,1994, p. 138

[32] M. Franzinelli, Storia della Repubblica Sociale Italiana 1943-1945, Bari – Roma, Laterza, 2022, pp. 313-325

[33] Lettera di Gino Zotto in A.A. V.V., La Repubblica Sociale Italiana nelle lettere dei suoi caduti, Rimini, L’Ultima crociata, 1990, pp. 180-181.

[34] R. De Felice, Mussolini l’alleato (1940-1945), vol.II, La guerra civile (1943-1945), Torino, Einaudi, 1997, pp. 125-148

[35] M. Viganò, Il Congresso di Verona (14 novembre 1943): documenti e testimonianze, Roma, Settimo sigillo, 1994, p. 175

[36] Rapporto del 2 ottobre 1943 in A.A. V.V., Toscana occupata: rapporti delle Militärkommandanturen, 1943-1944, Firenze, Olschki, 1997

[37] Archivio di Stato della Spezia [d’ora in poi ASSP], Prefettura della Spezia, Archivio di Gabinetto, «Archivio di Gabinetto della Prefettura della Spezia – Atti riservati», busta 441, fascicolo 12.

[38] AISRT, Cpln di Apuania, b. 20, f. 2, Approvvigionamento bandiere della Rsi, 28 aprile e 12 maggio 1944

[39] AISTR, Cpln di Apuania, b. 3, f. 4, Comando Generale Gnr, Notiziario politico, 12 giugno 1944; FLM, Guardia nazionale repubblicana, Notiziario del 22 maggio 1944

[40] Rapporto del 15 ottobre 1943 in A.A. V.V., Toscana occupata: rapporti delle Militärkommandanturen, cit.

[41] Rapporto del 22 ottobre 1943 in A.A. V.V., Toscana occupata: rapporti delle Militärkommandanturen, cit.

[42] M. Fiorillo, Uomini alla macchia, cit.

[43] Per approfondire R. Absalom, A strange alliance. Aspect of escape and survival in Italy 1943-45, Firenze, Ilschki, 1991; R. Absalom, “Per una storia di sopravvivenze. Contadini italiani e prigionieri evasi britannici”, Italia Contemporanea, no.140 (1980); G. Lett, Rossano, Milano, E.L.I., 1958

[44] M. Diaferia, 1943-1954 Pontremoli, una diocesi italiana tra Toscana, Liguria ed Emilia attraverso i libri cronistorici parrocchiali, Pontremoli, ISRA, 1995, pp. 108-263

[45] AISTR, Cpln di Apuania, b. 20, f. 1, Contegno verso le Truppe Germaniche, Manifesto del 20 aprile 1944

[46] L. Ganapini, Continuità e rimozioni: i problemi della Repubblica democratica, in S. Bugiardini (a cura di), Violenza, tragedia e memoria della Repubblica sociale italiana: atti del Convegno nazionale di studi di Fermo, 3-5 marzo 2005, Roma, Carocci, 2006, pp. 349-354

[47] G. Ricci, Avvento del fascismo, Resistenza e lotta di liberazione in Val di Magra, La Spezia, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, 1975, pp. 117-118

[48] Nel regime fascista, i termini “sfollati”, “profughi” ed “evacuati” indicavano diverse categorie di persone costrette a lasciare le proprie case a causa della guerra. Gli “sfollati” erano coloro che si allontanavano dalle città bombardate o minacciate. I “profughi” fuggivano dall’avanzata del fronte o si trovavano lontani dai loro territori occupati dagli Alleati. Gli “evacuati” erano costretti a lasciare le loro abitazioni su ordine delle forze armate italiane o tedesche. Dal 1943, queste distinzioni si attenuarono e spesso si utilizzava il termine “sfollati” per tutti. Per approfondire E. Cortesi, La Rsi di fronte a sfollati, profughi ed evacuati, “E-Review”, n.6 (2018), pp. 207-229

[49] Archivio dell’Istituto storico toscano della Resistenza [d’ora in poi: AISTR], Cpln di Apuania, b. 19, f. 2, 22 ottobre 1943

[50] AISTR, Cpln di Apuania, b. 3, f. 2, Gab. 3655 del 17 ottobre 1943 e Gab. 3664 del 22 ottobre 1943.

[51] AISTR, Cpln di Apuania, b. 19, f. 2, Situazione economica famiglie sfollate, 22 settembre 1943

[52] AISTR, Cpln di Apuania, b. 19, f. 2, Occupazione dei locali scolastici da parte di sfollati, 2 novembre 1943

[53] R. D’Angeli, Storia del Partito fascista repubblicano, Castelvecchi, Roma 2016

[54] D. Gagliani, Brigate nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 35

[55] AISTR, Cpln di Apuania, b. 3, f. 3, Ordine di evacuazione della popolazione, Comando Militare Germanico di Apuania, Manifesto del 7 luglio 1944

[56] M. Fiorillo, Uomini alla macchia, cit.

[57] ACS, Ministero dell’interno, Gabinetto, RSI – affari generali, b. 10, Questura di Apuania, Situazione politica ed economica della Provincia, 10 luglio 1944

[58] AISTR, Cpln di Apuania, b. 2, f. 1, Manifesti

[59] AISTR, Cpln di Apuania, b. 2, f. 1, Manifesto del 12 luglio 1944, Gruppo di difesa della donna e Fronte della Gioventù.

[60] ACS, Segreteria particolare del duce, RSI – Carteggio Riservato, b. 43, Disposizioni per lo sfollamento al Nord delle famiglie dei fascisti, 11 giugno 1944; AISTR, Cpln di Apuania, b. 3, f. 2, Trasferimento verso il retrofronte, Gab. n. 4581 dell’11 luglio 1944

[61] ACS, Ministero dell’interno, Gabinetto, RSI – affari generali, b.47, Servizio informazioni sfollati, 15 luglio 1944.

[62] E. Minuto, Un orizzonte bianco e desolato. Carrara 1944: occupazione, lotta armata e violenza sui civili, Massa, Transeuropa, 2008.

[63] Dalle 160 cave attive con 2.753 lavoratori nel 1942, si passò nel 1944 a sole 69 cave con 1.011 lavoratori impiegati, in Archivio di Stato di Massa [d’ora in poi ASM], Comune di Carrara. Archivio storico, Comune di Carrara, b. 607, Occupazione e Produzione nelle cave delle Apuane.

[64] ACS, Ministero dell’interno, Gabinetto, RSI – affari generali, b. 10, Questura di Apuania, Relazione settimanale, 09 gennaio 1944

[65] A. Bianchi, La Spezia e Lunigiana: società e politica dal 1861 al 1945, Franco Angeli, 1999, p. 355

[66] Fondazione Luigi Micheletti [d’ora in poi FLM], Guardia nazionale repubblicana [d’ora in poi Gnr], Notiziario del 22 maggio 1944

[67] Questa è la vita dei nostri operai in Germania, «Corriere del Tirreno», 27 novembre 1943; Il collocamento della mano d’opera, «Il Telegrafo», 12 marzo 1944

[68] AISTR, Cpln di Apuania, b. 20, f. 3, Telegramma del Comando Militare Tedesco al Commissario prefettizio di Carrara, 16 novembre 1943

[69] E. Collotti, L’amministrazione tedesca dell’Italia occupata 1943-1945, Milano, INSMLI, 1963, pp. 187-189

[70] ASM, Archivio di Gabinetto della Prefettura di Massa, Telegramma del capo della provincia ai commissari prefettizi e ai podestà, 12 novembre 1944

[71] L. Casella, La Toscana nella guerra di liberazione, Carrara, La nuova Europa editrice, pp. 90-94

[72] ACS, Ministero dell’interno, Gabinetto, RSI – affari generali, b. 10, Questura di Apuania, 26 marzo 1944

[73] ACS, Ministero dell’interno, Gabinetto, RSI – affari generali, b. 10, Questura di Apuania, Situazione sullo spirito pubblico, 05 marzo 1944

[74] AISTR, Cpln di Apuania, b. 3, f. 4, Comando Generale Gnr, Notiziario politico, 12 giugno 1944

[75] FLM, Gnr, Notiziario del 26 gennaio 1944

[76] FLM, Gnr, Notiziario del 7 marzo 1944; AISTR, Cpln di Apuania, b. 2, f. 1, Manifesti

[77] M. Palla, RSI e occupazione tedesca, cit.

[78] L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere. I combattenti, i politici, gli amministratori, i socializzatori, Milano, Garzanti, 1999

[79] E. Collotti, L’amministrazione tedesca dell’Italia occupata, cit. p.213.

[80] AISTR, Cpln di Apuania, b. 5, f. 10, dichiarazione di Facciolo Aldo del 12 ottobre 1944

[81] R. De Felice, Mussolini l’alleato, cit., pp. 301-303.

[82] ASM, Archivio storico, Comune di Massa, busta 2451, f. 1, Leva, atti relativi

[83] M. Fiorillo, Uomini alla macchia, cit.

[84] ACS, Ministero dell’interno, Gabinetto, RSI – affari generali, b. 10, Questura di Apuania, Gab. 7465 del 25 novembre 1943

[85] ASM, Archivio storico, Comune di Massa, busta 2451, f. 1, Leva, atti relativi, 9 marzo 1944

[86] Rapporto del 13 gennaio 1944 in A.A. V.V., Toscana occupata: rapporti delle Militärkommandanturen, cit.

[87] ACS, Ministero dell’interno, Gabinetto, RSI – affari generali, b. 10, Questura di Apuania, Situazione sullo spirito pubblico, 18 marzo 1944.

[88] AISTR, Cpln di Apuania, b. 20, f. 4, “Centro informazioni”, 20 gennaio 1944

[89] AISTR, Cpln di Apuania, b. 25, f. 1, manifesto del 15 febbraio 1944

[90] FLM, Gnr, Notiziario del 25 marzo 1944

[91] AISTR, Cpln di Apuania, b. 1, f. 8, Firenze, 29 novembre 44

[92] AISTR, Cpln di Apuania, b. 3, f. 2, lettera n. 4057/s, 3 maggio 1944

[93] M. Fiorillo, Uomini alla macchia, cit.

[94] AISTR, Cpln di Apuania, b. 3, f. 3, Fascio Repubblicano di Carrara

[95] AISTR, Cpln di Apuania, b. 3, f. 3, Manifesto Pfr firmato dal Commissario Federale Biagioni

[96] FLM, Gnr, Notiziario del 29 dicembre 1943

[97] FLM, Gnr, Notiziario del 7 marzo 1944

[98] FLM, Gnr, Notiziario del 24 aprile 1944

[99] FLM, Gnr, Notiziario del 30 aprile 1944

[100] FLM, Gnr, Notiziario del 16 aprile 1944

[101] FLM, Gnr, Notiziario del 17 luglio 1944

[102] A. Bianchi, La Spezia e Lunigiana, cit. pp. 444-445

[103] FLM, Gnr, Notiziario dell’11 aprile 1944

[104] AISTR, Cpln di Apuania, b. 23, f. 14, Relazione Brigata Garibaldi Menconi

[105] G. Petracchi, Intelligence americana e partigiani sulla Linea Gotica, Foggia, Bastogi, 1991, p. 47

[106] M. Legnani, Potere, società ed economia nel territorio della RSI, Italia contemporanea, no. 213 (1998)

[107] ACS, Ministero dell’interno, Gabinetto, RSI – affari generali, b. 10, Questura di Apuania, Situazione Politica, 11 marzo 1944, p.2

[108] ACS, Ministero dell’interno, Gabinetto, RSI – affari generali, b. 10, Questura di Apuania, Situazione Politica, 12 aprile 1945

[109] M. Fioravanzo, Mussolini e Hitler: La Repubblica sociale sotto il Terzo Reich, Roma, Donzelli, 2009, p. 76

[110] A. Osti Guerrazzi (a cura di), Le udienze di Mussolini durante la Repubblica Sociale Italiana, Heidelberg, Heidelberg University, 2020

[111] T. Rovatti, Leoni vegetariani. La violenza fascista durante la RSI, Bologna, CLUEB, 2011, p. 26

[112] L. Baldissara, Eclissi del centro, cit. p. 13

[113] G. Melis, La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato fascista, Bologna, Il Mulino, 2018, p. 187

[114] G. Ricci, Contributi alla storia della Resistenza in Lunigiana, Parma, Tipolitografia benedettina, 1976, p. 139

[115] AISTR, Cpln di Apuania, b. 8, f. 4, lettera del 16 settembre 1943

[116] AISTR, Cpln di Apuania, b. 17, f. 2, 12 giugno 1944

[117] L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere, cit., p. 171

[118] S. Bertoldi, Salò. Vita E Morte Della Repubblica Sociale Italiana, Milano, Rizzoli, 1976, pp. 241-245

[119] AISTR, Cpln di Apuania, b. 1, f. 3, Il Commissario Prefettizio ai Parroci di Apuania, 4 ottobre 1943

[120] ACS, Ministero dell’interno, Gabinetto, RSI – affari generali, Telegramma di Mussolini ai capi delle province, 2 febbraio 1944

[121] M. Diaferia, 1943-1945 Pontremoli, cit. p. 113; G. Sismondo, Nei venti mesi della dominazione tedesca (1943-1945). Episodi, Pontremoli, Artigianelli, 1946

[122] M. Lenci, La disputa sul Risorgimento. Dall’avvento del fascismo alla nascita della repubblica, in C. Calabrò (a cura di), Quale Risorgimento? interpretazioni a confronto tra fascismo, Resistenza e nascita della Repubblica, Pisa, ETS, p. 104

[123] Mazzini, il Risorgimento e l’Italia odierna, «Corriere del Tirreno», 4 dicembre 1943

[124] A. M. Banti, Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al Fascismo, Roma-Bari, Laterza

[125] M. Avagliano, M. Palmieri, L’Italia di Salò, Bologna, Il Mulino, 2017, p. 151

[126] H. J. Burgwyn, Mussolini and the Salò Republic 1943-1945: the failure of a puppet regime, Cham, Palgrave Macmillan, 2018, p. 34

[127] Lettura di Mazzini, «Italia e civiltà», 22 gennaio 1944

[128] S. Patriarca, Italianità. La costruzione del carattere nazionale, Laterza, 2011

[129] L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere, cit., p. 318

[130] Edito da Einaudi nel 1943

[131] C. Pavone, Una guerra civile, cit. pp. 249-250

[132]Sull’organizzazione e sull’attività dei Patrioti Apuani; P. Del Giudice, Relazione sull’organizzazione e sull’attività dei Gruppi Patrioti Apuani, in Emilio Palla (a cura di), Popolo e partigiani sulla Linea Gotica, Legnano, Landoni, 1974.

[133] AISTR, Cpln di Apuania, b. 23, f. 14, Il Patriota, Foglio della Resistenza partigiana

[134] M. Fiorillo, Uomini alla macchia, cit.

[135] Archivio Istituto spezzino della Resistenza e dell’Età contemporanea [d’ora in poi ARSP], fondo I, f.14, 24 marzo 1945

[136] A.A. V.V., Quale Risorgimento? Interpretazioni a confronto tra fascismo, Resistenza e nascita della Repubblica, Firenze, ETS, 2013

[137] AISTR, Cpln di Apuania, b. 23, f. 14, Sergio Nardi, Caniparola, 15 novembre 1945

[138] Prefazione di Gaetano Salvemini di C. Rosselli, Oggi in Spagna domani in Italia, Paris, Edizioni di Giustizia e Libertà, 1938, p. 13

[139] V. C. Belco, War, massacre, and recovery in Central Italy, 1943-1948, Toronto, University of Toronto press, 2010, p. 79

[140] Manifesto presente nella mostra 1943-1944. Immagini e propaganda della Repubblica Sociale Italiana, Milano, catalogo a cura della Fondazione Anna Kuliscioff

[141] P. Pezzino, Crimini di guerra nel settore occidentale della Linea Gotica, in G. Fulvetti (a cura di), La politica del massacro. Per un atlante delle stragi naziste in Toscana, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2006.

[142] N. Revelli, Il mondo dei vinti, Torino, Einaudi, 1977, p. 119

[143] Ai partigiani si cercava di non fare cenno alcuno, in linea con le direttive del governo, che non intendeva riconoscerne l’esistenza come «soldati», ma solo come «sbandati», «banditi», «ribelli», «sanguinari perturbatori dell’ordine», «rifiuti umani» e «terroristi»; in M. Forno, La guerra delle parole. Fedeli e traditori nelle pagine del “Corriere”, in S. Bugiardini (a cura di), Violenza, tragedia e memoria della Repubblica sociale italiana: atti del Convegno nazionale di studi di Fermo, 3-5 marzo 2005, Roma, Carocci, 2006, cit. p. 63

[144] G. Fulvetti, Uccidere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), Roma, Carocci, 2009

[145] N. Forfori, Partigiano sulle Alpi Apuane. Soldato sull’appennino, Aulla, Mori, 1990, p. 44

[146] L. Ponziani, Fascismo e autonomie locali, in M. Palla (a cura di) Lo Stato fascista, Firenze, La Nuova Italia, 2001, pp. 317-328

[147]  Archivio Storico Diocesano di Massa Carrara – Pontremoli, b. 1, f. 10, lettera di Ernesto Buttini a Giulio Guidoni, 2 luglio 1947

[148] A. Breccia; E. Minuto, “Carrara città ‘sospesa’. L’azione delle forze antifasciste prima della Liberazione (1944-1945)”, Annali della Fondazione Ugo La Malfa, Vol. XXV (2010)

[149] Archivio Storico Diocesano di Massa Carrara – Pontremoli, b. 7, f. 9, lettera del presidente del sotto Comitato provinciale di liberazione nazionale di Pontremoli Angelini indirizzata a Ugo Bernieri e Alberto del Nero, 5 giugno 1945.

[150] M. Fiorillo, Uomini alla macchia, cit.

[151] G. Ricci, Avvento del fascismo, resistenza e lotta di liberazione in Val di Magra, Parma, Tipolitografia Benedettina, 1975, pp. 322-323

[152] G. Ricci, “Note per una storia dei C.L.N. della Lunigiana interna: il C.L.N. di Aulla”, Cronaca e storia di Val di Magra / Centro aullese di ricerche e di studi lunigianesi, Vol. 6 (1977), pp. 233-236

[153] L. Baldissara, Tecnica e politica dell’amministrazione. Saggio sulle culture amministrative e di governo municipale fra anni Trenta e Cinquanta, Bologna, il Mulino, 1998, p. 9

[154] AISTR, Cpln di Apuania, b. 3, f. 2, 10 giugno 1944

[155] Direttive del Duce sulla scelta dei dirigenti, «Il Telegrafo», 12 marzo 1944

[156] Alla prova, «Il Telegrafo», 12 marzo 1944

[157] M. Borghi, Tra fascio littorio e senso dello Stato: funzionari, apparati, ministeri nella Repubblica sociale italiana, 1943-1945, Padova, CLEUP, 2001

[158] L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., pp. 54-56

[159] ASSP, Gabinetto Prefettura, b. 441, f. 101, Verbale dell’incontro, 09 novembre 1944

[160] ARSP, fondo I, f. 49, Verbale dell’incontro di Sesta Godano, 17 novembre 1944

[161] ASSP, Gabinetto Prefettura, b. 441, f. 11, Lettera di Appiani indirizzata a Buttini, 16 novembre 1944

[162] G. Ricci, Contributi alla storia della Resistenza in Lunigiana, cit., pp. 344-347

[163] A.A. V.V., 1943-1945, la liberazione in Toscana: la storia, la memoria, Firenze, G. Pagnini, 1994, p. 206

[164] AISTR, Cpln di Apuania, b. 23, f. 14

[165] Per approfondire A. Breccia; E. Minuto, Carrara città “sospesa”, cit.

[166] Archivio di Stato di Genova [d’ora in poi ASG], Corte di assise straordinaria (1945 apr.-ott.) poi Sezione speciale di corte di assise (1945-1947) [d’ora in poi CAS], Corte di Assise Speciale di Massa [d’ora in poi CASMS], b. 52, Sentenza no. 6, 15 maggio 1946

[167] I. Biancardi, Aspetti della Resistenza nel Fivizzanese e nella bassa Lunigiana, Vezzanello, 1977

[168] ASG, CAS, CASMS, b. 52, sentenza no. 4, 16 aprile 1946

[169] ASG, CAS, CASMS, b. 52, sentenza no. 7, 22 maggio 1946

[170] F. Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano: la rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, Roma-Bari, Laterza, 2016

[171] M. Giovana, Guerra Partigiana, in E. Collotti (a cura di), Dizionario della Resistenza, vol. I, Einaudi, Torino, 2000, p. 207

[172] ASG, CAS, CASMS, b. 52, sentenza no. 12, 16 ottobre 1946

[173] AISTR, Cpln di Apuania, b. 11, f. 1-2

[174] ACS, Ministero dell’Interno, Direzione generale pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati. Archivio generale, Circolari, b. 26, f. 70.

[175] M. Franzinelli, L’amnistia Togliatti: 22 giugno 1946, Mondadori, 2006

[176] AISTR, Cpln di Apuania, b. 11, f. 5, telegramma del Sindaco Andrei al Ministero dell’Interno del 25 gennaio 1946

[177] AISTR, Cpln di Apuania, b. 23, f. 3, 1° settembre 1946

[178] L. Baldissara, Eclissi del centro, cit.

[179] G. Melis, La macchina imperfetta: immagine e realtà dello Stato fascista, Bologna, Il Mulino, 2018, p. 187

[180] M. Fiorillo, Uomini alla macchia, cit.

[181] L. Meneghello, I piccoli maestri, Milano, Rizzoli, 1990, pp. 34-35

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