Le intercettazioni telefoniche della Legione “Muti”, tra quotidianità della guerra civile e alleanze di alto livello.

Jacopo Calussi*

doi 10.53258/ISSN.2785-261X/OI/02/692

Abstract

In questo contributo verrà analizzato un elenco di intercettazioni telefoniche, operate dai membri del Servizio Informazioni del CVL e conservate presso i National Archives di Washington. Il Servizio operò nel contesto della fase finale della guerra civile e di liberazione in Italia e riuscì ad assestare alcuni colpi importanti alla struttura di occupazione e alle organizzazioni repubblicane.
L’elenco è composto da più di mille descrizioni sintetiche delle singole telefonate in entrata e uscita dalla caserma di via Rovello a Milano, da cui possono esser tratte informazioni fondamentali per approfondire gli ultimi mesi di vita della RSI. Nel contributo verranno descritte le dinamiche di potere che videro la Legione come protagonista degli equilibri politici della provincia milanese, in una fase drammatica per l’intero Nord Italia. Le intercettazioni restituiscono infatti un quadro vivido delle violenze perpetrate tra l’autunno del’44 e l’inverno del’45, in un periodo in cui i battaglioni della LAM operarono rastrellamenti in Lombardia e in Piemonte, in collaborazione diretta con le forze armate germaniche. Inoltre, dall’elenco fuoriescono le evidenti aderenze e i collegamenti di alto livello di cui disponeva la Legione: tra le personalità intercettate incontriamo ufficiali dei comandi di polizia e SS di Milano e del comando “Nord-Ovest” di Tensfeld, persone vicine all’arcivescovo Schuster o funzionari della prefettura, ministri, personalità politiche e comandanti militari e di polizia della RSI. Riferimenti ulteriori sono relativi alle udienze di Benito Mussolini che, negli ultimi mesi di vita incontrò spesso il comandante della Legione Franco Colombo. La “Muti” appare in questo contesto come polizia politica pienamente integrata nel sistema repressivo repubblicano. L’elenco appare quindi come strumento utile per delineare i protagonisti e gli equilibri politici della RSI, nel periodo appena precedente alla sua fine.

*Università degli Studi di Roma Tre.

Introduzione

Nel contesto di studi e pubblicazioni aventi come oggetto la storia dell’ultima esperienza di governo di Mussolini, uno degli ostacoli maggiori incontrati dagli storici è quello dell’estesa lacunosità documentaria, legata alle distruzioni volontarie operate nelle fasi di ritirata delle forze naziste e fasciste verso il settentrione d’Italia.[1] In tal senso, negli studi più recenti sulla Repubblica sociale, gli studiosi si sono potuti affidare alla documentazione prodotta dalle forze militari tedesche[2] o alle carte delle potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale, per ricostruire e approfondire il contesto delle fasi finali della guerra, il periodo meno coperto dalla documentazione sopravvissuta. Presso i National Archives and Records Administrationdi Washington, sono presenti alcuni documenti fondamentali sulla Rsi, il prodotto della cooperazione tra forze antifasciste italiane, come il Clnai e l’organizzazione superiore del Comando Generale del CVL (Corpo Volontari della Libertà) e le varie agenzie militari e di intelligenceaggregate alla V armata statunitense. Parliamo dell’elenco di intercettazioni telefoniche operate presso la caserma della Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti” di Milano (Lam), uno dei corpi di sicurezza più noti della RSI. Tali intercettazioni vennero riportate sinteticamente dagli operatori del Corpo Volontari della Libertà in un registro di 1032 chiamate, in entrata e in uscita dalla caserma, che coprono il periodo che va dal novembre del ’44 al marzo ’45. Le informazioni riportate sono confermate da coincidenze temporali attestate in altri archivi e di difficile contraffazione da parte degli intercettatori.[3] Responsabile delle intercettazioni era l’Ufficio Informazioni, la sottosezione di spionaggio e controspionaggio del Cvl, supportata nella sua attività da mezzi e personale anglo-americani.[4] La fase bellica che coincideva con l’autunno del ’44 discendeva nelle sue peculiarità dalle considerazioni alleate del fronte italiano, ritenuto secondario rispetto al Vallo Atlantico sin dal ’43.[5] È tuttavia degna di nota la particolare attenzione concessa dai servizi di Washington alla possibilità di reperire informazioni e precise descrizioni delle forze fasciste-repubblicane oltre il fronte di combattimento. Il periodo trattato dall’elenco è inoltre caratterizzato dalla fase invernale della lotta partigiana, avviata con il cosiddetto Proclama Alexander, il 13 novembre 1944. Essa non portò da parte delle forze nazifasciste, e di quelle repubblicane in particolare,[6] ad alcuna limitazione nelle strategie di repressione antipartigiana.

La “Muti” di Milano

La Legione “Ettore Muti” nacque dall’unione di differenti squadre d’azione repubblicane, sorte nelle convulse fasi successive alla completa occupazione tedesca e ai giorni di vacanza dell’autorità statale dovuta al caos post-armistiziale. Il reinsediamento di Mussolini, avvenuto nella seconda metà del settembre del ’43, aveva infatti avuto tra le sue conseguenze la ricomposizione semi-volontaristica di strutture ispirate al cosiddetto fascismo delle origini. Per quanto minoritario, il fenomeno neo-squadristico toccò buona parte del Territorio occupato, ovvero l’insieme di province nominalmente rette dal governo fascista-repubblicano. La “Muti” divenne un servizio di polizia politica influente nell’area milanese, con alleanze intessute con la prefettura e le autorità militari, di polizia e SS dell’occupante tedesco. Grazie alla sua origine squadrista, la formazione poté disporre delle strutture provinciali del partito per espletare compiti e coprire attribuzioni amministrative estese, almeno fino all’estate del ’44. La “Muti” era divenuta uno dei protagonisti di quell’eterogeneo sistema di poteri locali che connotò i seicento giorni di occupazione; un sistema che, per i deficit di controllo, propri del centro governativo gardesano, è stato definito come “policentrismo di poteri semi-autonomi”. In ambito provinciale tale sistema concesse al titolare della prefettura – per volontà di Mussolini, definito “capo della provincia”, sul modello dei Gauleiterdella Nsdap – responsabilità eccedenti le tradizionali attribuzioni del prefetto regio. Tale posizione venne avversata o sfruttata dalle altre autorità della provincia. Le stesse vedevano nella vicinanza alle autorità tedesche o a personalità del governo italiano lo strumento per affermarsi sul piano politico locale.[7] Il comandante delle squadre, unificate sotto la – apparente – subordinazione della federazione del Partito Fascista Repubblicano (Pfr) era l’ex responsabile del circolo rionale fascista “Montegani”, Franco Colombo; squadrista vicino a Giampaoli negli anni Venti, con una mediocre carriera negli enti provinciali e nel partito, a cui aggiungeva una condanna per complicità in un omicidio.[8] Dalla primavera del ’44, la “Muti” si dotò di una autonoma Divisione Speciale di Polizia, concorrente con i tradizionali servizi di Pubblica Sicurezza, e acquisì la denominazione ufficiale di “Legione”. Gli eccessi della Lam, concretizzatisi in azioni violente, quasi sempre eccedenti le norme di polizia e connotate spesso da torture, sequestri e rapine ai danni dei sospetti di antifascismo, attrassero sulla “Muti” numerose polemiche e denunce. La “Muti” per tutto il ’44 fu inoltre al centro dei contrasti tra le autorità repubblicane di Milano, in piena concorrenza con la questura e la Gnr, e fortemente osteggiata dal Pfr del commissario Resega e del suo successore Costa. Tuttavia, la vicinanza ai comandi tedeschi e a determinate personalità dell’amministrazione saloina tutelò la Legione e i suoi comandanti. Superato il timore estivo di crollo repubblicano, nella fase autunnale, la Lam poté presentarsi come uno dei numerosi centri di potere di Milano, capitale informale della Rsi e, insieme, della lotta di Liberazione antifascista.[9]

Le intercettazioni

Nei documenti del CVL traspaiono due argomenti centrali per la definizione dell’ultimo periodo di vita della repubblica. Sintetizzando, dalle intercettazioni è ravvisabile in primo luogo un rapporto particolarmente stretto tra elevata gerarchia tedesca e italiana e la “Muti”, caratterizzato da una evidente familiarità dei comandi tedeschi della città e della regione lombarda con gli ufficiali della LAM, oltre che una certa accondiscendenza palesata delle personalità italiane di governo, dell’amministrazione e del partito stesso all’indirizzo della Legione; accanto a ciò, viene evidenziata una piena abitudine dei mutini alla violenza contro gli antifascisti, ebrei e tutti coloro che vennero inseriti nell’insieme degli irrecuperabili nemici della Rsi. Nelle considerazioni sul primo dei due argomenti, la LAM appare e si comporta come un centro di potere quasi autonomo rispetto al governo della provincia, una sorta di sostituto delle altre autorità civili. I ministri di Salò chiedono ai comandi della “Muti” informazioni e concessione di beni, conservati nei depositi e frutto di attività poco chiare della formazione. Ad esempio, il 25 novembre del ’44, «una patronessa dell’opera Balilla chiede lo zucchero» promessogli dai comandanti della Legione, ma il telefonista risponde che i quantitativi sono già stati «presi in carico» dal «prefetto(Mario Bassi)e da Schuster(l’arcivescovo milanese)»; la patronessa veniva però rincuorata, la sua richiesta sarebbe stata esaudita in seguito a «qualche altro sequestro».[10] Un’irregolarità estesa nel trattamento delle problematiche annonarie che risulta essere una costante nelle telefonate ricevute dalla “Muti” e che comprende anche lo scambio irregolare di armi: come nel caso del sottotenente Bartoli, che affermava ci fosse «sempre vendita di quella roba(si trattava di pistole)negli arsenali».[11]

La gestione alimentare e la distribuzione di beni di base appaiono come problematiche centrali nel contesto delle grandi città della RSI, ovvero le zone colpite dalle difficoltà connesse al reperimento di prodotti razionati.[12] A tal proposito, anche la segreteria nazionale del Pfr appare dipendente dalla “Muti” nell’ottenimento di beni e risorse di difficile reperimento in questa fase: il vice-segretario Romualdi deve richiedere a Colombo il «prestito» di un automezzo della Legione, con relativa scorta di carburante, per spostarsi dalla provincia di Milano[13]. Ministri e capi della provincia come Zerbino,[14] Mezzasoma, [15] o il delegato del partito per i fasci all’estero, e primogenito del duce, Vittorio Mussolini,[16] si riferiscono direttamente alla Legione per problematiche minute, spesso relative a conoscenti incarcerati, denaro e prodotti razionati. [17]

Nelle intercettazioni vi è inoltre la conferma di una delle alleanze informali più proficue della Legione, quella stretta con la magna parsdegli squadristi di ritorno della Rsi, Roberto Farinacci, che molte volte si ritrova nelle trascrizioni per le questioni più disparate. Il rasdi Cremona, spesso presente nella caserma, viene contattato da quello che pare essere un suo amico intimo, Piero Parini, ex podestà e prefetto di Milano che, secondo una certa interpretazione storiografica, avrebbe rappresentato l’anima «astutamente moderata» della Rsi nel capoluogo lombardo.[18] Dal punto di vista del partito, appaiono invece abbastanza eterogenei i rapporti intercorsi tra comandi della Lam e differenti gradi e strutture della Brigata Nera “Resega”. A un’irritazione evidenziata nelle rare telefonate del commissario Costa, antagonista sin dall’autunno del ’43 di Colombo e dei suoi arditi, si aggiunge la problematica, espressa dal vice-federale Vitali,[19] dei «passaggi» incontrollati degli squadristi della Brigata verso la Legione; d’altra parte, le intercettazioni riportano una duratura collaborazione con determinati distaccamenti e gruppi rionali della “Resega”; ciò avviene sia in relazione allo scambio di informazioni su singoli arruolati e arrestati, sia in una pianificazione condivisa per «colpi» particolari da «mettere a segno».[20] Buoni appaiono invece i rapporti con la segreteria nazionale del Pfr e i suoi vicesegretari.[21]

I contrasti derivanti da differenti condotte e prospettive di lotta per il fascismo, oltre che dai soliti passaggi sregolati tra reparti, sono palesi anche nelle telefonate che trattano dell’esercito di Rodolfo Graziani[22] e della X Mas; il comandante di quest’ultima, Borghese, viene definito dai comandi della LAM un «disfattista», come disfattisti sono considerati i suoi uomini.[23] La parte che tuttavia appare più significativa delle intercettazioni ospita le telefonate con le autorità germaniche della Wehrmacht,delle SS e del consolato, oltre alle chiamate da e per Gargnano, sede di Mussolini sul Garda fino al ’45.

Nelle relazioni con i comandi tedeschi, dall’autunno del ’44, Colombo sembra pienamente integrato nella strategia delle polizie e dei reparti germanici, sia nel contesto milanese, sia nelle operazioni antipartigiane compiute in Piemonte, nelle province di Asti, Vercelli e Cuneo. In questo caso è significativo l’atteggiamento dei comandi, che non hanno alcuna reticenza nel caratterizzare l’invio di determinati militi, sottufficiali e ufficiali in «zona di operazione», come punizione per condotte particolari, o per basse motivazioni personalistiche.[24] In conseguenza di ciò e della generale volontà degli arditi di permanere in servizio nell’area di residenza, nel contesto piemontese i comandi di Willy Tensfeld – il SS und Polizei-Führer per l’Italia nord-occidentale – sembrano dubbiosi sulle effettive capacità militari degli arditi, spesso criticati per le «endemiche diserzioni» che caratterizzavano tutti i reparti repubblicani;[25] al contrario, a Milano, Colombo riceve evidenti forme di legittimazione dal capitano responsabile dell’ufficio “Ib” di Monza, «Baehrens (sic)».[26] A Bährens, in cambio di una fornitura settimanale di carburante e di cibo, il «colonnello Colombo» era solito chiedere munizioni e armi per la Legione. Una condotta simile viene tenuta verso il comandante di Piazza della città, il colonnello von Goldbeck dell’esercito, con cui apparentemente esisteva un accordo sugli stessi beni.[27] Il 27 febbraio 1945, Bährens, prima di partire da Monza, veniva invitato a passare a via Rovello, dove Colombo gli avrebbe offerto cinque chili di cioccolata, in cambio di 50.000 colpi di moschetto. Bährens risponde che «passerà sicuramente a salutare e (che) farà di tutto per guadagnarsi la cioccolata». Anche se non comprovabile, è possibile che la cioccolatasia un riferimento non tanto velato a una cospicua quantità di denaro. I resoconti aprono nuove considerazioni sui rapporti tra autorità germaniche e fascisti repubblicani: Goldbeck, ad esempio, sembra apprezzare la collaborazione di Colombo nei servizi di polizia, pur essendo inserito nei comandi territoriali della Wehrmacht. Le Kommandanturen, spesso, in altri contesti, non lesinavano critiche verso gli eccessi delle formazioni paramilitari di Salò; venivano infatti interpretate come fattori deleteri per l’equilibrio provinciale in generale.[28]

Meno inaspettatamente, una proficua cooperazione veniva confermata da Colombo anche nei riguardi dell’elevata gerarchia delle SS di Milano, in particolare con l’ObersturmbannfürherWalter Rauff, comandante della polizia di sicurezza e dei servizi di intelligencedelle SS (Sipo-Sd) nell’Italia nord-occidentale, il quale incontrava regolarmente i comandi della Legione.[29]

 Come avevamo anticipato, la “Muti” appare nel contesto milanese come forza di polizia regolare pienamente integrata nel sistema repressivo di Salò. Tuttavia, il rapporto più significativo che viene manifestato dalle intercettazioni è quello intessuto dal comandante della LAM con Mussolini. La possibilità di incontrare il capo del fascismo, oltre alla possibilità di esprimere la propria fedeltà all’Idea, deve essere interpretata come strumento politico di legittimazione delle formazioni armate, sorte spontaneamente nella prima fase di vita della RSI. In una prospettiva simile si può collocare l’atteggiamento di Colombo, sul finire del 1944. Il comandante della “Muti” ribadisce regolarmente al telefono della caserma, sia con i suoi sottoposti, sia con elementi di altri servizi di sicurezza milanesi, la sua supposta vicinanza a Mussolini, rappresentata dalle numerose visite a Gargnano: come riporta l’agente del CVL, «lui ci va ogni dieci giorni a rapporto».[30] Naturalmente, la regolarità delle visite è esagerata dalle descrizioni di Colombo, che in realtà viene ricevuto una volta al mese fino a dicembre, ma con una significativa crescita delle udienze concesse negli ultimi mesi di vita della RSI.[31]

Negli ultimi giorni della Rsi, Colombo viene ricevuto due volte presso il palazzo della prefettura meneghina, dove Mussolini si era insediato dal 19 aprile.[32] Anche se dovessimo limitare il rapporto a un piano di esteriorità – sfruttata per rinsaldare la propria posizione verso i sottoposti o verso altri comandanti verso i quali Colombo dimostrava una certa acredine – l’adesione politica e ideologica dei “mutini” traspare dal loro rapporto, ad ogni livello, con il duce del fascismo repubblicano. Il capitano Tocchetti, ad esempio, che comandava un reparto preposto alla vigilanza dell’autostrada nella zona di Santhià, vicino Vercelli, fu selezionato per meriti riscossi in azione per accompagnare Colombo in una visita a Mussolini il 30 dicembre del ’44.[33] Tocchetti, come riportano le intercettazioni, appare «così infatuato» dall’udienza da sembrare «poco commosso» rispetto alla notizia della morte di sei dei suoi commilitoni a Santhià.[34]

Questa adesione ideologica al fascismo viene rappresentata da differenti gradi della gerarchia della Legione in un’esternazione continua, almeno fino al marzo del ’45, della certezza della vittoria finale. Notizie false o sovrastimate vengono infatti diffuse dentro la “Muti”: due militi e il responsabile della Caserma “Salinas”, sede distaccata della “Muti” a Milano, il comandante De Toledo/Cairella parlano di un’inverosimile avanzata delle forze nazifasciste fino alla provincia fiorentina, il cui capoluogo ormai distava solo «70»[35] o «20 chilometri»[36]dalla linea del fronte, nel dicembre del ’44.  Una fiducia nelle sorti belliche che, per quanto artefatta e del tutto esteriore, veniva usata come strumento politico per delegittimare autorità differenti, preposte agli stessi servizi di controllo e repressione della LAM.[37] La fedeltà degli arditi fu sfruttata da Mussolini anche per strategie politiche peculiari, come quella riferibile all’avvicinamento dell’alta gerarchia della RSI a determinate componenti dell’antifascismo; il fine sarebbe stato quello di predisporre una conclusione pacifica alla guerra civile che aveva infuriato nell’Italia del Nord. Il riferimento è al cosiddetto “Pontismo”, tentato da Mussolini verso intellettuali e politici non fascisti.

In un’intercettazione del 9 febbraio 1945, Colombo chiedeva a uno degli ufficiali ex-squadristi e fondatori della “Muti”, il capitano Beltramini, di «portargli domenica i comunisti e i socialisti che hanno in carcere»; glielo ha «ordinato il duce» che «vuole i capi solamente, non un corteo di gente. I capi sono 4 o 5 tra i quali “quello che fa il filosofo” dice Colombo “quel Cione”[38] (…) saranno ricevuti un’ora prima di lui».[39]

L’incontro fu concordato per il 12 dicembre, quando effettivamente il comandante della LAM risulta essere da Mussolini a Gargnano.[40]La “Muti” era divenuta una sorta di agenzia statale preposta al servizio di polizia, repressione del ribellismo e della rete clandestina antifascista, oltre che a speciali attività di intelligence, nei mesi finali dell’esistenza della RSI. Una fedeltà che veniva ripagata sul piano materiale dalle direzioni ministeriali.

Nell’ultimo preventivo di bilancio annuale, per l’anno compreso tra il marzo del 1945 e del ’46, la LAM richiedeva alla direzione responsabile del ministero delle Finanze di Pellegrini Giampietro 147.965.000 di lire, di cui 69 milioni erano già stati anticipati dalle prefetture repubblicane di Como e di Milano[41] e dalla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza degli Interni.[42] Il bilancio era poi arrotondato con le azioni a cui abbiamo già fatto riferimento, estese a tutta la provincia milanese e alla zona di operazioni antipartigiane. A tale riguardo, alcuni ufficiali della Legione criticavano e dileggiavano Colombo a causa dei suoi estemporanei impeti moralizzatori verso le operazioni della Lam. Gli ufficiali della Divisione di Polizia Alceste Porcelli e Bruno De Stefani, al telefono, riferiscono di «affari» e «colpi» completati alle spalle del colonnello. Porcelli in particolare aggredì verbalmente una signora di Milano, con la quale aveva un accordo riguardante la spartizione di denaro sequestrato dalla sua divisione. La differenza con quanto accordato, circa 24.000 lire, non venne versata da Porcelli, che alle minacce della signora di chiamare il comandante ribatteva: «se Colombo dà un altro ordine gli (..farò vedere io) chi comanda più del comandante».[43] Venalità e volgarità, più che un fanatismo ideologico puro, appaiono caratterizzare molti altri ufficiali della Legione, soprattutto nelle considerazioni riguardanti le vittime degli arditi. Una conferma dell’abitudine alla violenza che caratterizzò la fase finale della repubblica.

È questo l’altro argomento centrale che viene evidenziato dalle intercettazioni. Nell’«azione di stamani mattina (…) dicono che non ne hanno preso nemmeno uno vivo. L’unico era un ufficiale e quei cretini (…) lo hanno ammazzato subito. Con molta circospezione parlano poi dello scambio».[44] Lo scambio o il rilascio degli arrestati antifascisti a volte veniva caratterizzato dalla chiara volontà di lucro, rispetto a sospetti particolari.

Il 30 novembre, ad esempio, vi è uno scambio di battute tra un ufficiale della “Muti” e un capitano della Brigata Nera di Milano “Resega”, tale Pozzi. Quest’ultimo richiede notizie su di un arrestato, l’ufficiale di PS Pasta, che deve essere messo a disposizione della “Resega”. Alla risposta affermativa e concorde dell’ardito, Pozzi «ride e dice che va bene perché vuole tirarlo lui fuori», sottintendendo un premio in relazione alla liberazione.[45] Un’amoralità sulla quale spesso il trascrittore del CVL tace o propende per la censura, come avviene molte volte nei riferimenti all’attività sessuale dei singoli ufficiali, limitata nelle esternazioni da aggettivi o eufemismi, come «volgare»,[46] «bestemmia irripetibile»,[47] o limitazioni della puntuale descrizione del sessismo imperante nella caserma[48].

Una simile amoralità influenzò gli stessi arruolamenti sregolati della Legione, dove si presentavano spesso ragazzini minorenni, anche di 14 o 15 anni, teoricamente non arruolabili secondo le autoimposte regole della Lam.[49] Per i diciassettenni, invece, veniva accordata la possibilità di aderire alla Legione, anche se con il consenso dei genitori. Un criterio spesso scavalcato dai comandi della “Muti”, come viene riportato nella risposta ad una signora che urlava in direzione del telefono di Beltramini, a causa dell’arruolamento del figlio diciassettenne, avvenuto senza il suo consenso. L’ufficiale della Lam rispondeva laconico che «in tempi di Repubblica, a 17 anni si è ormai uomini, signora».[50]

Ulteriori notizie fanno riferimento ad una costante attività di ricezione di denunce pubbliche e di delazioni anonime, sempre limitate nella relativa descrizione dalla volontà di «parlare (…) di persona», per evitare le probabili intercettazioni.[51] È probabile tuttavia che più che le strutture di intelligence della Resistenza, il telefonista faccia riferimento al controllo dei servizi tedeschi su numerose linee telefoniche repubblicane.[52] Per concludere possiamo riportare alcune parole, scritte nell’imminenza della liberazione di Milano, dal padre di un giovane antifascista, Giuseppe Canevari, fermato dalla “Muti” mentre affiggeva manifesti sui muri di Milano; durante l’interrogatorio, il diciassettenne venne percosso con nerbi di bue e bastoni, fino alla morte, avvenuta nelle celle di sicurezza della caserma di via Rovello[53]. Canevari morì nella notte tra il due e il tre marzo del ’45, il cadavere fu trasportato fuori da Milano per il suo occultamento.[54] Secondo il padre, fu «nauseante il disinteressamento e l’incapacità evidente (del prefetto…). Le autorità governative erano in combutta con la “Muti”, erano in profonda amicizia, bagordavano coi dirigenti della stessa ed evidentemente non potevano opporre o imporre disciplina ed autorità». Le autorità italiane avevano volontariamente taciuto sulla sorte del giovane, la cui sparizione venne addossata, per ingannare il padre, prima agli uffici milanesi di Rauff e della SS-Polizei, poi al comando di Verona di Karl Wolff – il comandante «supremo»di SS e Polizia in Italia; né Rauff, né il comando di Verona avevano mai avuto a che fare con il diciassettenne.[55]

Un risultato diretto del caotico insieme di polizie repubblicane era infatti l’impossibilità di sapere rapidamente in quale servizio di sicurezza fosse incappata la vittima dell’arresto, con conseguenze rese ancor più tragiche dallo sregolato comportamento delle formazioni:[56] una condotta ormai lecita, né smentita, né sanzionata dalle autorità di Salò nei mesi finali dell’esperienza repubblicana.[57] Gli effetti di questo tipo di radicalizzazione si riveleranno in qualche modo fatali per le personalità più note della Legione: il comandante Franco Colombo morirà nei pressi di Como in uno scontro a fuoco nelle giornate successive al 25 aprile 1945, mentre alcuni ufficiali vennero linciati dalla folla nelle giornate insurrezionali di Milano, così come confermato dalla memorialistica antifascista,[58] e dalla documentazione anglo-americana.[59] Numerosi altri arditi vennero successivamente catturati e processati dalle Corti d’Assise Straordinaria sorte nell’aprile del ’45.[60]

Conclusioni

L’elenco delle intercettazioni appare utile per confermare un carattere peculiare dell’esperienza collaborazionista della Rsi.[61] A dispetto di una memorialistica e di parte della storiografia che vedevano i repubblicani come strumenti imbelli dei progetti del Reicho come suoi brutali servitori, o ancora, da parte reducistica, come scudo frapposto tra barbarie germanica e popolazione italiana, le intercettazioni della Lam confermano una descrizione differente dei seicento giorni di Salò. I rapporti che la Legione ha intessuto per tutto il periodo dell’occupazione non si limitavano ai servizi di sicurezza germanici, ma si estendevano ad ampia parte degli enti locali della provincia. Arcivescovado, Opera “Balilla”, prefettura, insieme degli enti parastatali del regime e gli stessi municipi del Milanese e delle province piemontesi appaiono come interlocutori consueti per la LAM.

Tale rapporto sembra rafforzato nelle fasi ultime della vita repubblicana, quando il dissolvimento delle traballanti strutture statali della RSI rese possibile una crescente acquisizione di responsabilità da parte delle formazioni più violente e ideologizzate. Tale dinamica riguardò buona parte delle province sottoposte alla RSI dalla fine dell’estate del ’44, così come confermato dagli studi di Adduci su Torino, ad esempio.[62]

La Legione, come altri centri di potere saloini, poté sfruttare la propria posizione e i propri caratteri – ideologici e operativi – per difendere l’autonomia del corpo e l’acquisizione di responsabilità eterogenee in ambito amministrativo, economico e di polizia, nella provincia di Milano e in Piemonte. Prova ne fu, oltre al rapporto cordiale e costante con i vari centri militari e di polizia tedeschi, la possibilità di sopravvivere come formazione paramilitare, anche in danno di altri servizi di polizia, come avvenne nei confronti di Koch e della sua banda.[63] Inoltre, in tal modo viene evidenziata una differente interpretazione della agency dell’occupato, in un rapporto ben diverso con l’occupante tedesco da quello descritto dalla tradizionale dicotomia tra collaborazionismo ideologico e collaborazionismo di Stato. Parte dei protagonisti del policentrismo di Salò, nei mesi finali di collaborazione con l’occupante, fu responsabile di una crescente radicalizzazione nella strategia di repressione dell’antifascismo.

Ciò avvenne anche in contrasto con peculiari strategie di normalizzazione, tentate in differenti fasi e in differenti regioni dall’occupante tedesco.[64] Tale approccio non fu forzato né imposto dalle autorità germaniche, ma deve essere interpretato come autonomo e funzionale a mantenere in vita, almeno per i mesi finali del conflitto, lo Stato repubblicano.


[1] D. Gagliani, “Rotta di uomini e rotta di archivi. La Caporetto della RSI nelle Marche settentrionali e la nascita del fondo Galmozzi”, Storia e problemi contemporanei, n° 15 (1995), pp. 253-273 e L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere, Milano, Garzanti, 1999.

[2] N. Labanca (a cura di), Il nervo della guerra. Rapporti delle Militärkommandanturen e sottrazione nazista di risorse dall’Italia occupata (1943-1944), Trezzano s/N, Unicopli, 2021.

[3] Ad esempio, i nomi dei singoli ufficiali della Lam presenti in Piemonte che compaiono nelle intercettazioni vengono confermati dai documenti della Legione conservati in Archivio Centrale dello Stato (ACS), RSI, (Brigate Nere) BN, LAM, b. 1, f. 7; inoltre le date delle udienze concesse a Colombo e ai Mutini vengono riportate anche in ACS, Segreteria Particolare del Duce (SPD), Carteggio Riservato (CR), RSI, bb. 57, 58, f. Udienze del D.

[4] Atti del Comando Generale CVL, Relazione del 24 giugno 1944, p. 3.

[5] Le informazioni relative alle attività di intelligencealleata in Italia sono state riprese da H. Woller, I conti col fascismo, l’epurazione in Italia, 1943-1948, Bologna, Il Mulino, 1996, oltre che da AA. VV., Gli Americani e la guerra di Liberazione in Italia. L’Office of strategic service (OSS) e la Resistenza, Roma, Presidenza CDM, 1995 e M. Corvo, La campagna d’Italia dei servizi segreti americani (1942-1945), Gorizia, LEG, 2006; P. Ferrari, A. Massignani (a cura di), Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Milano, F. Angeli, 2010.

[6] Cfr. T. Rovatti, La violenza dei fascisti repubblicani, in G. Fulvetti, P. Pezzino, Zone di guerra, geografia di sangue. L’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (1943-1945), Bologna, Il Mulino, 2017.

[7] Cfr. M. Palla, Amministrazione periferica e fonti locali sul collaborazionismo in Italia durante la RSI, in L. Cajani e B. Mantelli (a cura di), Una certa Europa. Il collaborazionismo con le potenze dell’Asse, 1939-1945: le fonti, Annali della Fondazione L. Micheletti, n° 6, INSMLI, Brescia, 1992 e i contributi derivanti dal convegno I molti territori della Repubblica fascista. Amministrazione e società nella RSI, Istituto di storia contemporanea e Dipartimento di scienze umane dell’Università degli studi di Ferrara, 27-28 settembre 2017, disponibili sul sito webe-review.it/sommario.all (ultimo accesso il 5 giugno 2022).

[8] Sulla biografia di Colombo, si rinvia a M. Griner, La pupilla del duce, Torino, Bollati Bornghieri, 2004, p. 60 e ss.

[9] Per le dinamiche relative alla Lam nel periodo successivo all’inverno del’44, si permetta il rinvio a J. Calussi, Fascismo repubblicano e violenza. Repressione e governo locale delle federazioni del PFR (1943-45), Milano, Biblion, 2021. Per il concetto di doppia capitale si rinvia a L. Ganapini, Una città, la guerra. Milano 1939-1951, INSMLI, Milano, F. Angeli, 1988, p. 66.

[10] Intercettazioni telefoniche della “Legione Muti”, effettuate dal CVL, inviate al CIC della V armata il 26 aprile 1944 (da ora Intercettazione-CVL), n 233, del 25 novembre 1944, in NARA, Record group (Rg.) 226, entry (e.) 174, box (b.) 88, folder (f.) 730.

[11] Ibidem, n° 98, del 16 novembre 1944.

[12] Per questo motivo e per la minaccia aerea, alcuni studiosi fanno scendere il numero di abitanti a 6/800.000, partendo dal dato di 1,3 milioni di abitanti nel ‘39, cfr. Ganapini, Una città, cit. e Collotti, Sicurezza, cit., p. 6, in quest’ultimo caso, dopo l’estate del’44, la cifra di residenti stabili a Milano crolla a 250/300.000.

[13] Intercettazione-CVL n° 69, del 17 novembre 1944, NARA, Rg. 226, e. 174, b. 88, f. 730.

[14] Ibidem, n° 531, del 16 dicembre 1944.

[15] Intercettazioni CVL-SIM della “Linea di Stato: Verona-Brescia-Milano”, n° 12, del 4 febbraio 1945.

[16] Intercettazione-CVL, nn° 828, 830, del 30 gennaio 1945.

[17] Ibidem, n° 531, cit.

[18] L. Ganapini, Una città, la guerra. Milano 1939-1951, INSMLI, Milano, F. Angeli, 1988; ibidem, n° 123, del 20 novembre 1944.

[19] Ibidem, n° 503, del 30 dicembre 1944.

[20] Ibidem, n° 336, del 29 novembre 1944.

[21] Ibidem, n° 69, del 17 novembre 1944; ibidem, n° 575, del 19 dicembre 1944.

[22] Ibidem, n° 875, del 23 gennaio 1945.

[23] Ibidem, n° 782 del 21 gennaio 1945.

[24] Ibidem, nn° 567, 570, del 16 dicembre 1944. Eg. Alcuni militi sono inviati in zona di impiego perché “piantagrane” o per motivazioni egoistiche degli ufficiali, riferibili anche a legami con donne sposate degli stessi arditi inviati in zona di impiego.

[25] Ibidem, n° 348, del 30 novembre 1944. Il comando SS chiede che fine abbiano fatto i «162 uomini promessi per la zona di azione presso Asti»; dopo le giustificazioni del telefonista, sarcasticamente, il militare tedesco chiede informazioni precise sui «1500 uomini che (hanno detto essere) già in zona d’operazioni».

[26] Cfr. C. Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-1945, Torino, Einaudi, 2015, p. 62 e ss., E. Collotti, “Dati sulle forze di polizia fasciste e naziste nell’Italia settentrionale nell’aprile del’45”, Il Movimento di Liberazione Nazionale, n° 71 (1983), pp. 51-72 e in ibidem, nn° 677 e 978, del primo gennaio 1945 e del 27 febbraio 1945.

[27] Ibidem, n° 872, del 23 gennaio 1945.

[28] Lettera di “commiato”, scritta da Goldbeck a Colombo il 2 aprile 1945, in ACS, RSI, BN, LAM, b. 1, f. 7.

[29] Eg. Colombo, in una telefonata alla segreteria del capo della polizia Montagna, fa riferimento a «un colpo» di cui sono a conoscenza il ministro degli Interni e Rauff, in Intercettazioni-CVL, n° 124, del 17 novembre 1944, in NARA, Rg. 226, e. 174, b. 88, f. 730.

[30] Intercettazioni-CVL, n° 54, del 16 novembre 1944, in NARA, Rg. 226, e. 174, b. 88, f. 730.

[31] In ACS, SPD, CR, RSI, bb. 57, 58, f. Udienze del D.

[32] La raccolta delle ultime udienze è in NARA, Rg. 59, e. A1-1079, b. 11.

[33] Intercettazioni-CVL, n° 661, del 30 dicembre 1944, in NARA, Rg. 226, e. 174, b. 88, f. 730.

[34] Ibidem, si fa riferimento anche a quattro feriti gravi e otto lievi.

[35] Ibidem, n° 481, del 12 dicembre 1944. La telefonata è tra Cairella dell’Ufficio speciale di polizia e Colombo. Quest’ultimo, abbastanza irritato, rispose che la si doveva smettere con queste falsità e che sarebbero«arrivati a Firenze per Pasqua» (nel ’45).

[36] Ibidem, n° 482, del 12 dicembre 1944.

[37] Ibidem, n° 782, del 21 gennaio 1945.

[38] Edmondo Cione, filosofo e intellettuale napoletano, ebbe nell’ultima fase della RSI un ruolo peculiare nella fallimentare strategia di avvicinamento di Mussolini a personalità a-fasciste o antifasciste; non risulta comunque essere tra gli arrestati, in ibidem.

[39] Ibidem, n° 896, del 9 febbraio 1945.

[40] Udienze del duce dell’11 febbraio 1945, in ACS, SPD, CR, RSI, b. 58.

[41] Sunto dei capi di imputazione del prefetto Bassi del 30 novembre 1945 in AS MI, Corte d’Assise Straordinaria di Milano (CAS MI), Fascicoli Processuali (FP), Mario Bassi,b. 53. f. 231,1946.

[42] Relazione sul bilancio annuale della Legione “Muti”, inviata al duce ed al ministero delle Finanze del 17 marzo 1945, in ACS, RSI, BN, Legione Muti, b. 1, f. 2.

[43] Intercettazioni-CVL, n° 204, del 24 novembre 1944, in NARA, Rg. 226, e. 174, b. 88, f. 730.

[44] Ibidem, n° 54, del 15 novembre 1944.

[45] Ibidem, n° 336, del 30 novembre 1944.

[46] Ibidem, n° 28, del 15 novembre 1944.

[47] Ibidem, n° 29, del 15 novembre 1944.

[48] Ibidem, n° 593, del 20 dicembre 1945.

[49] Ibidem, n° 793, del 12 gennaio 1945. Si fa riferimento ad una signora adirata con gli ufficiali per aver arruolato il figlio quindicenne. Colto da imbarazzo, il ricevente la telefonata risponde che provvederà a «restituire» il milite.

[50] Intercettazioni-CVL, n° 745, del 17 dicembre 1944, in NARA, Rg. 226, e. 174, b. 88, f. 730.

[51] Ibidem, nn° 213, 646, del 24 novembre e del 30 dicembre 1944. Nel primo caso un «avanguardista» vorrebbe fare «rivelazioni sugli elementi che fomentano gli scioperi», il secondo fa riferimento ad una delazione anonima su un deposito di tabacco per il mercato nero.

[52] Cfr. L. Conti, “La RSI e l’attività del fascismo clandestino nell’Italia liberata dal settembre 1943 all’aprile 1945”, Storia Contemporanea, n° 45 (1979), pp. 941-1018.

[53] Il titolo di Karl Wolff in Italia era di «Höchster SS- und Polizeiführer in Italien», cfr. L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-’45, Torino, Bollati Boringhieri, 1994. Testimonianza di Campagnoli Luciano, inviata alle autorità del CLN lombardo il 31 maggio 1945, in AS MI, CAS MI, FP. Mario Bassi,b. 53., f. 231, 1946.

[54] Testimonianza di Pietro Colombo, milite della Lam, del 25 maggio, ibidem.

[55] Resoconto dell’arresto e della morte di Umberto Canevari, scritto dal padre, del 29 maggio 1945, ibidem.

[56] Ibidem, si fa riferimento anche alla proposta di due fasciste repubblicane milanesi di liberare il ragazzo, in realtà già morto, per un compenso di 3.000 lire.

[57] Sulle strategie superiori di Mussolini e dei gerarchi “nazionali” di Salò, si rinvia a D. Gagliani, Le Brigate Nere. Mussolini e la militarizzazione del partito fascista repubblicano, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.

[58] Cfr. M. Cuzzi, Seicento giorni di terrore a Milano. Vita quotidiana ai tempi di Salò, Milano, Neri Pozza, 2022 e G. Pesce, Quando cessarono gli spari. 23 aprile-6 maggio 1945, la liberazione di Milano, Milano, Feltrinelli, 2009.

[59] Rapporto del CIC della V armata, del 26 giugno 1945, in NARA, Rg. 226, e. 174, b. 88, f. 732.

[60] Cfr. Sentenza contro Spadoni, Asti et alii, in AS MI, CAS MI, Sentenze, b. 11 (f. unico), iid. 1947.

[61] Cfr. T. Tönsmeyer (a cura di), Coping with Hunger and Shortage under German Occupation in World War II, Basingstoke (UK), Palgrave & McMillan, 2018 e R. Gildea, A. Warring, O. Wieviorka (a cura di), Surviving Hitler and Mussolini, Oxford University Press, 2006.

[62] N. Adduci, Gli altri. Fascismo repubblicano e comunità nel Torinese (1943-1945), IPSR, Milano, F. Angeli, 2014. Anche in province non segnate dalla presenza di un grande capoluogo industriale si attuarono simili dinamiche di “radicalizzazione”, cfr. E. Andreini, S. Carnoli, Camicie nere di Ravenna e Romagna, tra oblio e castigo, Ravenna, Artestampa, 2006 e, mi si permetta, J. Calussi, La Squadra Muti di Padova negli equilibri di potere, tra autorità provinciali e di governo della RSI, in F. Bertagna, F. Melotto, Resistenza e Guerra civile. Fonti, storia, memorie, Sommacampagna, Cierre, 2017.

[63] La “Muti” operò l’arresto della cosiddetta “banda Koch”, alla fine di settembre del ’44, su indicazione della prefettura di Milano, cfr. lettera di Piero Koch al ministro Zerbino, del 9 aprile 1945, in NARA, Rg. 226, e. 174, b. 103, f. 152.

[64] Per le differenti strategie e fasi dell’occupante si veda C. Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-1945, cit.